La ridefinizione dei poteri e dei compiti dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, alla luce di alcune recenti pronunce.

di | 10 Aprile 2016 | 2 commenti Leggi

Una recente sentenza della Corte di Giustizia U.E., Grande Sezione (si tratta della sentenza 5 aprile 2016, nella causa C-689/13, pubblicata in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/a/2016/74651), specie se posta in relazione ad una altrettanto recente sentenza-ordinanza del Consiglio di Stato, Sez. V, 17 marzo 2016, n. 1090, ivi, pag. http://www.lexitalia.it/a/2016/74026), in materia di rapporti tra ricorso incidentale e ricorso principale, offre l’occasione per esaminare il ruolo ed i poteri finora assegnati all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.

Con la sentenza appena citata infatti la Corte di Giustizia ha, tra l’altro, affermato che: a) l’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una disposizione di diritto nazionale nei limiti in cui quest’ultima sia interpretata nel senso che, relativamente a una questione vertente sull’interpretazione o sulla validità del diritto dell’Unione, una sezione di un organo giurisdizionale di ultima istanza, qualora non condivida l’orientamento definito da una decisione dell’adunanza plenaria di tale organo, è tenuta a rinviare la questione all’adunanza plenaria e non può pertanto adire la Corte ai fini di una pronuncia in via pregiudiziale; b) l’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che, dopo aver ricevuto la risposta della Corte di giustizia dell’Unione europea ad una questione vertente sull’interpretazione del diritto dell’Unione da essa sottopostale, o allorché la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea ha già fornito una risposta chiara alla suddetta questione, una sezione di un organo giurisdizionale di ultima istanza deve essa stessa fare tutto il necessario affinché sia applicata tale interpretazione del diritto dell’Unione.

In buona sostanza la Corte di Giustizia ha affermato (com’era ovvio che facesse) una sorta di “primazia” della Corte di Giustizia stessa, stabilendo che una sezione del CdS: a) qualora non condivida l’orientamento definito da una decisione dell’Adunanza Plenaria, non è tenuta a rinviare la questione all’Adunanza Plenaria stessa e può pertanto adire la Corte di Giustizia ai fini di una pronuncia in via pregiudiziale; b) allorché la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea abbia già fornito una risposta chiara su una questione, deve fare tutto il necessario affinché sia applicata tale interpretazione del diritto dell’Unione.

In tal modo, senza attendere una pronuncia dell’Adunanza Plenaria (investita della questione con la già citata sentenza-ordinanza del 17 marzo 2016, n. 1090 – Pres. Pajno, Est. Tarantino), la Corte di Giustizia ha dato risposta ad un paio dei quesiti che erano stati rimessi all’Ad. Plen. stessa, concernenti le questioni: a) se, in costanza di un principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria, in presenza di una verifica espressa della rispondenza anche alla disciplina dell’Unione Europea, che venga sospettato di contrasto con la normativa dell’Unione Europea, la singola Sezione deve rimettere la questione ai sensi dell’art. 99, comma 3, c.p.a., oppure può sollevare autonomamente, quale giudice comune del diritto dell’Unione europea, una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia; b) se in costanza di un principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria, in assenza di una verifica espressa della rispondenza anche alla disciplina dell’Unione Europea, che venga sospettato di contrasto con la normativa dell’Unione Europea, la singola Sezione deve rimettere la questione ai sensi dell’art. 99, comma 3, c.p.a., oppure può sollevare autonomamente, quale giudice comune del diritto dell’Unione europea, una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia.

La Corte di Giustizia, anticipando l’Adunanza Plenaria, ha anche fornito una risposta definitiva al quesito (già per la verità risolto, un paio di anni addietro, dalla sentenza della stessa Corte di Giustizia, Sez. X, 4 luglio 2013, pag. http://www.lexitalia.it/p/13/corteue_2013-07-04.htm) riguardante i rapporti tra ricorso principale e ricorso incidentale in materia di appalti pubblici, affermando che la disciplina comunitaria osta a che un ricorso principale proposto da un offerente, il quale abbia interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici o delle norme che traspongono tale diritto, e diretto a ottenere l’esclusione di un altro offerente, sia dichiarato irricevibile (rectius: inammissibile) in applicazione di norme processuali nazionali che prevedono l’esame prioritario del ricorso incidentale presentato da detto altro offerente.

Viene così posta una “pietra tombale” sulla vexhata quaestio dei rapporti tra ricorso principale e ricorso incidentale negli appalti pubblici, ma – come già detto – si apre una nuova, più generale,  questione circa il ruolo e la funzione dell’Adunanza Plenaria.

Quest’ultimo organo giurisdizionale non è nuovo a conflitti con altri poteri giudiziari: si pensi, a titolo di esempio, alla clamorosa vicenda della cd. “pregiudiziale amministrativa” che ha costretto la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con alcune ordinanze, a cassare per diniego di giurisdizione varie sentenze del C.d.S che, sulla scorta dell’orientamento dell’Adunanza Plenaria, avevano dichiarato inammissibili le richieste risarcitorie non precedute dalla tempestiva impugnazione degli atti amministrativi lesivi.

Altri casi di conflitto con le Sez. Unite sono sorti in relazione a questioni di giurisdizione, affermata magari dall’Adunanza Plenaria e poi negata dalle Sezioni Unite.

Il problema dei ricorrenti conflitti tra Adunanza Plenaria del CdS, da un lato, e Sez. Unite della Cassazione e Corte di Giustizia dall’altro (v. in argomento in questa Rivista P. QUINTO, La nomofilachia della CGUE e dell’Adunanza Plenaria: collaborazione o concorrenza?, pag. http://www.lexitalia.it/a/2013/8215) dipende probabilmente dal fatto che l’Adunanza Plenaria è stata concepita e direi anche “costruita”, al pari delle Sez. Unite, come un organo nomofilattico che si pronuncia su tutto (perfino sulle questioni di giurisdizione o di interpretazione della normativa comunitaria), quasi che costituisse – sia pure limitatamente all’universo della giustizia amministrativa – un organo di vertice del tutto indipendente dalle altre Magistrature, alle quali purtuttavia è subordinato.

Insomma, il G.A., anzicchè integrarsi nel generale sistema di giustizia, si è “costruito” come un potere giudiziario del tutto autonomo, staticamente geloso delle sue prerogative e timoroso di perderle per effetto dell’influenza di altre Magistrature, nonostante che esse abbiano rango sovraordinato. Si tratta di un vezzo antico del giudice amministrativo (v. ad es. il codice del processo amministrativo, affidato “in appalto” allo stesso C.d.S e, per esso, all’allora Pres. De Lise), che anche di recente ha fornito evidenti dimostrazioni.

Basti pensare – come acutamente notato dal Prof. Volpe in un recente contributo sul nuovo processo informatico amministrativo, consultabile alla pag. http://www.lexitalia.it/a/2016/72416 – che non solo “la disciplina tecnica (erroneamente ritenuta di rango regolamentare) è stata affidata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, anziché al Ministro della Giustizia, come invece è accaduto per il p.c.t.”, ma soprattutto che il sistema informatico del nuovo processo amministrativo è diverso da quello già in atto in funzione presso il giudice civile, con possibili problemi di comunicabilità e di scambio di informazioni, oltre che di duplicazione dei costi.

Occorre quindi, magari mediante un’opera di responsabile self restraint dell’Adunanza Plenaria stessa ed in genere della giurisprudenza di secondo grado, una maggiore integrazione del G.A. nell’ambito del complessivo sistema di giustizia.

Ciò comporta non solo una limitazione dei compiti e dei poteri dell’Adunanza Plenaria, ma anche una ridefinizione dei poteri stessi e del meccanismo previsto per potere adire il massimo vertice della magistratura amministrativa.

Occorrerebbe in particolare, a mio sommesso avviso, affermare che:

a) l’Adunanza Plenaria non può pronunciarsi su questioni di giurisdizione, spettando tale compito esclusivamente alle Sez. Unite della Cassazione;

b) l’Adunanza Plenaria non può pronunciarsi su questioni che involgono questioni concernenti l’interpretazione della normativa comunitaria, spettando tale compito esclusivamente alla Corte di Giustizia U.E.

Occorrerebbe anche prevedere – con una semplice norma – che comunque, quando una questione che attiene strettamente all’interpretazione del diritto interno abbia dato luogo o possa dare luogo a difformi pronunce ed assuma particolare rilevanza, anche i giudici di primo grado possano rimettere la questione di massima direttamente (e per saltum) all’Adunanza Plenaria, in modo da ridurre se non del tutto “sopprimere nella culla” i contrasti giurisprudenziali che così tanto tormentano anche i giudici di prima istanza.

Infatti, se al giudice di primo grado è consentito nel caso di proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione ovvero nel caso di conflitto negativo di giurisdizione, adire direttamente (e per saltum) le Sez. Unite della Cassazione e se allo stesso giudice è consentito rimettere direttamente una questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia, sembra poi anacronistico, se non paradossale, impedire allo stesso giudice di prima istanza adire direttamente e per saltum l’Adunanza Plenaria, senza attendere che ciò faccia una Sezione del CdS, in modo da risolvere definitivamente e senza lunghi (e costosi) tormenti una questione di massima che ha dato luogo (o che può dare luogo) a contrasti di giurisprudenza.

In tal senso sarebbe anche auspicabile prevedere uno snellimento nella composizione dell’Adunanza Plenaria, la quale è in atto composta da un numero spropositato di componenti, mentre quelli che decidono veramente sono, come al solito, il Presidente ed il Relatore, nonché una corsia preferenziale per la decisione delle questioni di massima rimesse dai giudici di primo grado che rivestano particolare importanza, in modo tale da evitare che i processi rimangano a lungo sospesi.

Giovanni Virga, 10 aprile 2016.

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Category: Giustizia amministrativa

Commenti (2)

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  1. Pier Giorgio Lignani ha detto:

    Dissento (rispettosamente) dalla proposta del prof. Virga di vietare all’Adunanza Plenaria di pronunciarsi (a) sulle questioni di giurisdizione (da lasciare alle SS.UU.); (b) sulle questioni di diritto comunitario (da lasciare alla CGUE).

    Spiegherò qui appresso le ragioni del mio dissenso; ma voglio sùbito precisare che non sarei più in dissenso se la proposta non riguardasse una preclusione da introdurre con apposita norma di procedura, bensì una semplice raccomandazione alle Sezioni di non deferire all’A.P. quel tipo di questioni. In effetti, nel mio piccolo, questo è il criterio che ho sempre cercato di seguire.

    Dunque: perché “no” all’ipotesi di una preclusione per legge? Perché la competenza dell’Adunanza Plenaria non può non identificarsi, puramente e semplicemente, con quella delle singole sezioni; o per dir meglio del Consiglio di Stato come giudice.

    L’Adunanza Plenaria, come la conosciamo oggi, è nata quando le sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato sono diventate più di una e quindi si è posto il problema del coordinamento sulle questioni di massima. Donde l’espediente di deferire la decisione di singoli ricorsi ad un collegio misto. Ma una volta che un ricorso sia stato deferito all’A.P., il modus procedendi e il modus iudicandi di questo collegio sono esattamente gli stessi della sezione semplice. A un collegio con una certa composizione subentra un collegio con altra composizione. La pronuncia è una sentenza su quel caso singolo, niente di più e niente di meno. Quindi, se la sezione semplice può (e per quanto di ragione deve) pronunciarsi su una questione di giurisdizione, può farlo anche l’Adunanza Plenaria. Idem per le questioni di diritto comunitario.

    E’ vero che il codice del processo amministrativo ha introdotto due (marginali) innovazioni a questa disciplina: la prima, la facoltà dalla all’A.P. di limitarsi ad enunciare il principio di diritto, rinviando poi il ricorso alla sezione; la seconda, il principio per cui le sezioni non possono discostarsi dalle massime dell’A.P., e se non vogliono conformarvisi debbono rimettere nuovamente la questione alla stessa A.P. (peraltro questa regola è di fatto solo una raccomandazione, perché la sua eventuale violazione non comporta l’invalidità della sentenza). Ma queste due innovazioni non cambiano la sostanza.

    Detto questo, sul piano dell’opportunità è vero che le sezioni dovrebbero autolimitarsi nel rimettere le questioni all’A.P.. Sulle questioni di diritto comunitario, ogni sezione può e deve sollevare la questione pregiudiziale davanti alla CGUE, tutte le volte che ve ne siano i presupposti, senza bisogno di passare attraverso l’A.P.. Questo principio vale anche se sulla questione specifica esiste già un precedente della stessa A.P.. Qualche ordinanza di rimessione alla CGUE in tali condizioni vi è stata.

    Quanto alle questioni di giurisdizione: se su una questione di giurisdizione c’è un chiaro orientamento delle SS.UU., mi pare chiaro che il Consiglio di Stato debba uniformarvisi – e questo vale sia per l’A.P. che per le sezioni semplici, a nulla rilevando in contrario che in precedenza l’A.P. si fosse pronunciata diversamente. In materia di giurisdizione, il Consiglio di Stato non è giudice di ultima istanza, e quindi è naturaliter tenuto a seguire le indicazioni di quello che è il giudice di ultima istanza; anche per evitare la “brutta figura” di farsi riformare le proprie decisioni. Se l’orientamento delle SS.UU., ancorché espresso con chiarezza, appare poco convincente, sarà compito delle parti interessate riproporre la questione mediante un ricorso alla Cassazione.

    Tutt’altra questione è se le Sezioni Unite facciano sempre buon governo della loro funzione di regolatrici della giurisdizione. A mio sommesso giudizio più volte hanno commesso qualche “invasione di campo” qualificando come “di giurisdizione” questioni che tali non erano. Ma di questo – e dei possibili rimedi – si potrà discutere un’altra volta.

    • Giovanni Virga ha detto:

      Ringrazio il Pres. Lignani per il Suo prezioso contributo.

      A quanto par di capire, il dissenso del Pres. Lignani è più apparente che reale, dato che egli sarebbe d’accordo nel caso in cui le prospettate limitazioni ai poteri dell’Adunanza Plenaria siano introdotte non già con apposite norme di legge, ma con una autolimitazione dello stesso G.A. Il che è quanto auspicava anche lo scrivente, allorché faceva riferimento ad una “responsabile self-restraint” del giudice di secondo grado e, segnatamente, dell’Adunanza Plenaria.

      L’occasione propizia potrebbe essere quella della questione posta dalla già citata sentenza-ordinanza, dato che approfittando di essa, l’A.P., piuttosto che limitarsi a prendere atto della pronuncia della Corte di Giustizia Grande Sezione nel frattempo intervenuta, potrebbe enunciare dei principi al riguardo.

      Si tratta, è bene subito aggiungere, di un mero wishful thinking dello scrivente, che non trova riscontro nell’operato (anche recente) dell’Adunanza Plenaria. Ad esempio, proprio ieri è stata pubblicata nella rivista una sentenza dell’Adunanza Plenaria, alla pag. http://www.lexitalia.it/a/2016/75210 (in materia di controversie riguardanti il numero di ore di sostegno per i disabili) che si pone in rotta di collisione con una recente sentenza delle Sez. Unite della Cassazione. Insomma, la contrapposizione tra A.P. e S.U. continua e comunque l’Ad. Plenaria non sembra volersi astenere dal pronunciarsi su questioni di giurisdizione, anche se è ben consapevole che l’ultima parola al riguardo spetta alle Sez. Unite. E ciò nonostante che (e qui concordo pienamente con il Pres. Lignani) non sempre gli arresti delle Sez. Unite sono esenti da critiche e riguardano strettamente questioni di mera giurisdizione.

      Ritengo pertanto che, in mancanza dell’auspicato “responsabile self retraint” in tempi brevi, qualche norma vada al riguardo emanata, per evitare conflitti inutili e dannosi, che sempre comportano una perdita di tempo e soldi per il c.d. “utente della giustizia”. Anche nel campo giudiziario, con gli opportuni adattamenti, potrebbe utilizzarsi il detto secondo cui “mentre il medico studia la cura, il malato rischia di andarsene al Creatore”.

      Una norma è necessaria in ogni caso per consentire, così come suggerito, al giudice di primo grado di adire per saltum – per una questione di massima – l’Adunanza Plenaria. Per evitare conflitti in materia di giurisdizione sarebbe sufficiente prevedere, così come già stabilito in materia di conflitti negativi, che ove il G.A. dubiti di un orientamento – magari non univoco – delle Sez. Unite, possa rimettere la questione piuttosto che all’A.P. direttamente alle Sez. Unite stesse o prevedere che lo strumento del regolamento preventivo sia esperibile anche d’ufficio dal G.A. nei casi di incertezze circa la giurisdizione.

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