L’estinzione dei processi per decorso del tempo (pereat processus, fiat justitia)
Qualche tempo addietro il Pres. Salvatore Giacchetti ricordava, in una sua relazione, che durante la rivoluzione francese si pensò bene, per velocizzare i processi, di eliminare gli avvocati perchè ritenuti fonte di intralci e di ritardi.
Il legislatore italiano vuole essere ancora più rivoluzionario, dato che – in base al disegno di legge recentemente presentato al Senato e pubblicato anche nella presente rivista – sembrerebbe intenzionato ad eliminare addirittura i processi, in quanto fonte di intralcio e di ripetute condanne per irragionevole durata, prevedendo per essi dei termini talmente brevi (due anni per ciascun grado) da ritenere già ex ante – visto lo stato comatoso in cui versa la giustizia in Italia – impossibili da rispettare.
Le prime avvisaglie della tendenza di eliminare (non già gli avvocati, ma) i processi c’erano già state qualche anno addietro quando, con l’art. 54 del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008 n. 133, intitolato paradossalmente “Accelerazione del processo amministrativo”, il legislatore italiano, non contento di avere aumentato l’importo del contributo unificato atti giudiziari per i ricorsi in materia di appalti in misura considerevole (fissato in misura pari a 2.000 euro per ciascun grado di giudizio), ha ridotto della metà il termine (originariamente decennale) previsto per la perenzione c.d. “straordinaria” dei ricorsi. E così una perenzione “straordinaria” dei ricorsi è divenuta una fase “ordinaria” del processo, dato che dopo 5 anni dal deposito del ricorso, per tenerlo ancora in vita, l’avvocato è costretto a chiamare il proprio cliente per chiedergli, in sostanza, se non si è stancato di attendere.
In questo modo, confidando nella stanchezza del ricorrente, si è cercato di eliminare il contenzioso senza neppure dare un’occhiata a quanto c’è scritto nel ricorso, dando mandato alle segreterie – che utilizzano all’uopo le apparecchiature informatiche di cui si sono recentemente dotate – di inviare a tappeto i relativi avvisi (se questo è il nuovo “processo telematico” tanto promesso, preferisco volentieri farne a meno).
In quella occasione, tuttavia, poche voci di protesta si erano levate. Non quella della Società italiana avvocati amministrativisti, la quale – forse perchè intenta ad organizzare convegni o concerti a beneficio di avvocati e magistrati o nel duro e difficile compito di ritrasmettere agli associati i calendari delle camere di consiglio e delle udienze inviati per email dalle segreterie – pur essendo l’unica associazione sindacale di categoria, non ha stilato nemmeno (per quanto mi risulta) un comunicato ufficiale al riguardo.
Gli unici che hanno protestato sono stati, attraverso le pagine della presente rivista, oltre allo scrivente – chiedo venia se inelegantemente lo ricordo – anche pochi coraggiosi (in particolare N. D’Alessandro, Una norma barbara 2, e di recente X. Santiapichi, Perenzione: l’escamotage dell’iniziativa processuale per snellire i ruoli e denegare giustizia).
Forse non ci si era resi conto che la riduzione a cinque anni del termine previsto per la c.d. perenzione straordinaria dei ricorsi e le distorte applicazioni che poi ha avuto (singolare è il caso, già segnalato, di una recente ordinanza con la quale il Consiglio di Stato si è rifiutato di decidere un appello per il quale era stata già fissata l’udienza di merito ed ha rimesso sul ruolo il ricorso, perchè si è accorto che, all’atto della udienza di merito, era ormai decorso il termine quinquennale della perenzione straordinaria e non era stato inviato dalla segreteria apposito avviso) rappresentavano nient’altro che l’avanguardia della tendenza – ormai del tutto palese – di sopprimere le cause dopo che è trascorso un certo lasso di tempo.
Il meccanismo che il legislatore intende approntare per risolvere il problema della lentezza dei processi in Italia, sembra simile a quello del letto di Procuste, nel quale, com’è noto, ai poveri malcapitati si mozzavano le gambe nel caso in cui esse fossero risultate più lunghe del letto.
Si ignora così del tutto il semplice fatto che il processo e tutti i suoi costosi apparati sono stati previsti per risolvere in concreto le controversie e non già per dichiararle estinte dopo un certo numero di anni.
Giovanni Virga, 14.11.2009.
Category: Giustizia
Finalmente qualche voce “fuori dal coro” dei soliti noti.
Forse sarebbe anche il momento di organizzare qualche nuova associazione in grado davvero di difendere gli interessi della Giustizia, quale funzione di garanzia della collettività.
Nel nostro sistema monopolistico, dove ci sono consiglieri di stato che “fanno le leggi”, “fanno autorevole dottrina” sulle stesse leggi, scrivendo innumerevoli testi, interpretano concretamente le stesse in sede giurisdizionale, finalmente si sente un pò di aria di libertà.
Complimenti e avanti così
Osservo in ritardo- per la mia cronica difficoltà di partecipare a discussioni, pur avendo il desiderio di far sentire la mia piccolissima voce – che il post del Prof. Virga è sacrosanto e vorrei averlo scritto io.
Non tanto per l’inattività della Società degli Avvocati Amministrativisti, che evidentemente non si pone concretamente come soggetto di politica associativa, e quindi esponenziale della categoria, ma piuttosto per il senso della critica.
Al “processo breve”, locuzione demagogicamente furbissima, non si addice neppure l’altrove impropriamente abusato concetto della “rottamazione”, in cui si elimina qualcosa di vetusto per sostituirlo con un oggetto nuovo.
E’ puramente e semplicemente l’estinzione della giustizia, che si potrà avere, forse, dal Giudice di Pace (dove parlare di giustizia è già una forzatura…).
La perenzione abbreviata del processo amministrativo, con rinforzato onere a carico di chi chiede giustizia, sembrava uno dei provvedimenti peggiori mai visti, eppure, ancora una volta, si dimostra che al peggio non c’è limite.
L’art.111 della costituzione prescrive il giusto processo, che richiede necessariamente i suoi tempi. E’ noto, peraltro, che la precisione è a discapito della celerità, e che la brevità è a discapito della precisione. Consegue che la pretesa di abbreviare i processi è, di principio, anticostituzionale perchè va a discapito della giustizia del processo. Il problema della giustizia è costituito dai molti processi generati da una pubblica amministrazione, sciagurata nelle mani di mascalzoni in cravatta e loro compari, tutti protetti – mi perdoni Brunetta che stimo – dagli omologhi e omogenei nei palazzi romani e periferici. Abbiamo al potere un partito di ladri protettori di ladri, e non si può parlare di classe politica giacché le parole “classe” e “politica” non si addicono ad essi.
“Abbiamo al potere un partito di ladri protettori di ladri”. E certo, come no, ovvio. Del resto sono stati votati da un popolo imbesuito dalla televisione (commerciale, ovvio anche questo). Un’opinione giuridica un po’ sui generis, mi sembra. Accorciare i processi è nell’interesse di molti, non di tutti, sono realista. Per farlo, forse si può cominciare a rivedere quelle regole procedurali che consentono a giudici e avvocati di protrarre sine die il dibattimento, ma evidentemente è troppo semplice per le menti sopraffine di taluni giuristi.