La chimera della semplificazione
Nel Corriere della Sera di oggi è stato pubblicato (per estratto nelle versione cartacea e per intero nella versione elettronica: clicca qui per consultare quest’ultima) un lungo articolo del Ministro dell’economia Giulio Tremonti, pieno di dotte citazioni (tra le quali una, in particolare, riguardante Sant’Agostino: il cui richiamo, sia detto incidentalmente, in un’epoca di progressiva scristianizzazione, non guasta), con il quale afferma che la semplificazione amministrativa è una esigenza imprescindibile se si vuole realmente rilanciare l’economia italiana, evitando il declino ed un “nuovo Medioevo”. Propone a tal fine addirittura una modifica costituzionale, per valorizzare il principio di responsabilità dei singoli cittadini.
E’ sufficiente riportare l’incipit dell’articolo, per riassumerlo (l’articolo testualmente comincia così, con i seguenti slogan: “Cominciamo dalla liberalizzazione delle attività d’impresa. Le regole giuste sono un investimento. Sono le regole sbagliate ad essere un costo. E le regole possono essere sbagliate anche perché sono troppe.”).
Si tratta di affermazioni dalle quali è difficile dissentire. Tuttavia confesso che, leggendole, mi sono per un attimo sentito un marziano, dato che nella pratica tali principi sono stati, anche di recente, largamente disattesi proprio da quel governo di cui Tremonti, se non erro, fa parte, rivestendo in esso un ruolo tutt’altro che marginale. Quando infatti dai magniloquenti, dotti e condivisibili predicozzi, si passa alla dura realtà quotidiana, le cose stanno diversamente.
Il mio insegnante di latino e greco al liceo soleva ripetere che uno dei problemi maggiori della vita risiede nella differenza che si riscontra tra ideale e realtà: noi, con la nostra immaginazione, possiamo anche pensare ad un mondo diverso, ad una specie di Stato ideale di Platone, ma la realtà – purtroppo – è ben diversa. E questa realtà, la nostra realtà di tutti i giorni, è bene subito aggiungere, ha contributo a crearla anche il governo di cui fa parte il Ministro Tremonti, in quale forse, quando scrive editoriali, si dimentica per un attimo del suo ruolo e torna a fare il professore.
Tralasciando i futuri adempimenti burocratici che ci aspettano (come quello di segnalare, inviando le fatture elettroniche, gli acquisti superiori a 3600 euro, previsto da una norma ideata e voluta proprio dal Prof. Tremonti), faccio al riguardo alcuni esempi concreti, per così dire terra terra, riguardanti gli adempimenti previsti negli ultimi tempi.
Si tratta di problemi di cui mi sono reso conto concretamente tramite le procedure richieste dalle P.A. per l’attivazione di abbonamenti alla presente rivista, che riguardano rispettivamente: 1) la disciplina del d.u.r.c.; 2) quella concernente la c.d. “tracciabilità dei flussi finanziari” (per la quale di recente l’Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici ha già emesso due determinazioni); 3) quella sulle autocertificazioni.
1) DISCIPLINA DEL DURC: com’è noto il durc (documento unico per la regolarità contributiva) è stato previsto per assicurare la esigenza che le imprese che hanno a che fare con la P.A. siano in regola con gli (onerosi) versamenti contributivi e previdenziali.
La disciplina concreta, prevista per assolvere a tale giusta esigenza, ha tuttavia finito per creare una notevole complicazione burocratica, addossando sui contribuenti l’onere di attestare (producendo un apposito documento – appunto il d.u.r.c. – rilasciato dall’INPS e dall’INAIL) la propria situazione di regolarità; in un qualsiasi Paese moderno, invece, lo Stato – per raggiungere il predetto fine – avrebbe senz’altro proceduto all’accertamento autonomo e diretto, consentendo a ciascuna Amministrazione pubblica di accedere, in via telematica, ai data-base dell’INPS e dell’INAIL, per verificare in tempo reale il possesso o meno del requisito.
In Italia, invece, si è proceduto in senso inverso, e cioè addossando al cittadino l’onere di provare un requisito il cui accertamento, ripeto, in qualsiasi Stato moderno sarebbe spettato alla P.A.
Il che ha dato la stura ad un circolo vizioso di adempimenti burocratici a base di carta – con buona pace della P.A. “paperless” di cui tanto si parla (dato che l’INPS e L’INAIL ogni mese debbono inviare i vari durc, peraltro distinti per le varie finalità per le quali sono previsti, agli interessati e questi ultimi debbono a loro volta inviarli alle P.A. interessate).
Il culmine della follia si è raggiunto quando le P.A. hanno cominciato a sostenere che il d.u.r.c. aveva efficacia mensile (e non già trimestrale), per cui gli interessati molto spesso ricevevano d.u.r.c. già scaduti o prossimi alla scadenza. E’ stato merito della giurisprudenza amministrativa (v. per primo il T.A.R. Puglia – Lecce, con sentenza 16-10-2009, pubblicata in questa rivista) affermare che il durc ha validità trimestrale e che è quindi illegittimo il bando di gara che attribuisce a tale certificato la validità di un solo mese. Anche dopo queste pronunce, tuttavia, diverse P.A. insistevano nell’attribuire al durc efficacia solo mensile. Solo dopo l’emanazione di apposita circolare del Ministero del lavoro, le PP.AA. hanno attribuito al durc efficacia trimestrale (nella P.A. italiana, infatti, per vezzo antico, il “diritto vivente” è costituito non già dalle sentenze dei giudici, ma dalle circolari interne che ne certificano la validità).
L’applicazione pratica della normativa in materia ha avuto perfino effetti comici: infatti, poichè per le notorie disfunzioni della nostra P.A., l’INPS o la INAIL non fanno in tempo a procedere agli accertamenti, in diversi durc è riportata la seguente dicitura: “L’INPS (o L’INAIL) non si è pronunciato”.
Quando ho letto per la prima volta questa dicitura in un durc, mi è venuto da ridere: solitamente, infatti, quando si parla di qualcuno e si dice “non mi fare parlare….”, si allude al fatto che è meglio non profferire parola in argomento, perché, altrimenti, le informazioni che si darebbero sarebbero estremamente negative. La dicitura nel durc secondo cui “non si è pronunciato” mi fa venire in mente, appunto la frase… “è meglio che io non parli”. Solo che in questo caso si tratta non già di un giudizio negativo, ma soltanto di una evidente inefficienza dei nostri apparati burocratici.
E’ stato merito di alcune sentenze (una delle quali depositata appena ieri: v. al riguardo la sentenza della Sez. del Consiglio di Stato dell’11 gennaio 2011, pubblicata oggi in questa Rivista) precisare che l’eventuale dizione “non si è pronunciato” contenuta in un durc, non può refluire in danno dell’interessato. D’altronde, sarebbe stato paradossale sostenere il contrario.
2) DISCIPLINA DELLA TRACCIABILITÀ DEI FLUSSI FINANZIARI: anche in questo caso, a fine di consentire un controllo sui pagamenti della P.A., si è scelto di addossare sui privati l’onere relativo, imponendo loro non solo di indicare gli estremi completi degli IBAN dei conti sui quali affluiscono le somme, ma anche, partitamente, i soggetti abilitati a movimentare somme su tali conti. E ciò senza limiti di importo ed indiscriminatamente (senza considerare che in molti casi, come avviene per le riviste, gli IBAN sono pubblici). Quindi, anche per il pagamento di un euro è necessaria la trafila prescritta per un appalto od una fornitura di un milione di euro.
3) SISTEMA DELL’AUTOCERTIFICAZIONE: qualche parola infine va spesa (anche se si dovrebbe ad essa dedicare apposito capitolo) sull’autocertificazione, salutata giustamente negli anni ’90, come una svolta epocale. Solo che, nel corso degli anni, le dichiarazioni si sono moltiplicate in modo esponenziale.
Anche qui faccio un esempio concreto: recentemente il Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica ha chiesto un preventivo per rinnovare i due abbonamenti alla presente rivista, da tempo attivati; solo che ha subordinato – si badi bene non già il rinnovo, ma il semplice esame dell’offerta – ad una serie di dichiarazioni (ben 20, suddivise in altrettanto sottodichiarazioni, che occupano ben 8 pagine che ci ripromettiamo di riprodurre in un apposito documento) con le quali si chiede, tra l’altro, di dichiarare il nominativo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, “di fare esporre ai propri dipendenti la tessera di riconoscimento, prevista dall’art. 26, comma 8, del D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, corredata di fotografia ….”, di “non avere praticato intese e/o pratiche restrittive della concorrenza e del mercato vietate ….”, che “non è stata applicata la sospensione o la decadenza dell’attestazione SOA…” (che la Giuriconsult s.r.l., editrice della rivista, non possiede), di “svolgere, prima di iniziare le attività, nelle zone di lavoro oggetto della fornitura e/o prestazione dei servizi un preventivo sopralluogo, laddove prevista la presenza di proprio personale …”, ecc., ecc. ecc.
Ben 8 pagine di dichiarazioni per l’offerta del rinnovo di n. 2 abbonamenti ad una rivista alla quale si è da tempo abbonati! E’ questa la semplificazione, tramite il sistema delle autocertificazioni, di cui il Ministro Tremonti, attraverso le colonne del Corriere della Sera, ci parla?
E che dire dei controlli (a pagamento) delle varie Autorità indipendenti, che si traducono spesso in altrettanti adempimenti burocratici (produzione iin gara della ricevuta del versamento del contributo)?
Non a caso ben due Autorità (quella di Vigilanza sui contratti pubblici e quella Antitrust), prima della fine dell’anno scorso, tramite le pagine della Gazzetta Ufficiale, si sono affrettate a rendere noto il balzello 2011 a carico delle imprese, necessario per la sopravvivenza delle stesse Autorità. “Primum vivere, deinde philosophari”, diceva del resto tanto tempo fa Aristotele; solo che la prima parte del principio non si applica ai poveri contribuenti, i quali possono solo “deinde philosophari” (con l’aiuto del Prof. Tremonti).
Per semplificare la vita dei cittadini non occorrono roboanti riforme costituzionali, ma semplici riforme approvate con legge ordinaria o addirittura con norme regolamentari, abolendo realmente i tanti lacci e lacciuoli (ed esempio eliminando una serie di adempimenti ed autodichiarazioni per semplici operazioni di ridotto importo), che rendono ormai impossibile la vita ed inevitabile il “nuovo Medioevo” prefigurato dal Ministro.
Giovanni Virga, 12.01.2011
Category: Diritto pubblico
Ma allora era un impostore quello che ha fatto approvare l’ultima modifica al T.U. spese di giustizia in materia di appalti?
I tre esempi indicati dal Prof. Virga sono emblematici.
Se ne potrebbero trovare molti altri, ma mi limito a segnalare il fatto che per iscrivere a ruolo un ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale, oggi occorrono ben sei copie degli atti più un’altra su CD con tutte le produzioni.
Quando ho iniziato la professione, venticinque anni fa, bastavano cinque copie e nessun CD, a meno che la memoria mi inganni!