Doppio colpo alla professione forense

di | 5 Luglio 2011 | 11 commenti Leggi

In queste ore sta montando la polemica circa una norma (art. 37, ultimo comma), contenuta nel decreto legge sulla manovra finanziaria (denominata “di stabilizzazione”, in modo vagamente umoristico), che finisce per prevedere la possibilità, previa prestazione della cauzione, ma solo per le cause d’importo superiore ai 20 milioni di euro, di evitare di eseguire una sentenza d’appello, in attesa del ricorso in Cassazione.

Si tratta, è stato detto già da molti, di una norma scandalosa, dato che riguarda la nota situazione della causa di risarcimento multimilionario per il c.d. lodo Mondadori tra la Cir di De Benedetti e la Finivest dell’attuale Presidente del Consiglio Berlusconi.

Ma ancora più scandalosa, a mio avviso, è una norma (l’art. 37, 6° comma, dello stesso decreto legge) che prevede un indiscriminato e notevole aumento del contributo unificato atti giudiziari per le controversie innanzi al giudice civile ed amministrativo, nonchè la previsione del contributo stesso per le controversie in materia di lavoro e pubblico impiego e per quelle in materia tributaria.

Colpisce in particolare il raddoppio dei già abnormi importi del contributo unificato previsti per i ricorsi in materia di appalti (di opere pubbliche, di servizi o di forniture) che, indipendentemente dal valore della controversia, passano dagli attuali 2.000 euro a 4.000 euro. Altrettanto costerà proporre un ricorso avverso un atto adottato da una delle Autorità amministrative indipendenti.

Per gli altri ricorsi pure soggetti al rito abbreviato (come ad es. quelli in materia di espropriazione per p.u.), l’importo del contributo unificato per ciascun grado di giudizio, è stato invece fissato in 1.500 euro.

Non occorre spendere molte parole per definire come assurde e palesemente penalizzanti per tutti gli operatori della giustizia tali notevoli aumenti che, si ripete, prescindono del tutto dal valore della controversia.

E’ bene ricordare che, aboliti i controlli preventivi di legittimità, l’unico controllo (eventuale, indiretto e posticipato) che sussiste è ormai rappresentato dal controllo in sede giurisdizionale. Rendere estremamente costoso l’accesso al sistema di giustizia finisce per eliminare anche tale tipo di controllo per buona parte degli atti amministrativi.

Tali misure finiscono per confermare un “trend” che era apparso chiaro negli ultimi anni: quello di abbattere il contenzioso rendendo da un lato (con l’innalzamento del contributo unificato) oltremodo costoso l’accesso alla giustizia e, dall’altro, scoraggiando coloro che hanno avuto la ventura di proporre un ricorso (aggravando, con il recente codice, il già iniquo regime previsto per i ricorsi ultraquinquennali e prevedendo nel contempo come obbligatoria una pronuncia sulle spese per la fase cautelare od una specie di multa per i ricorsi c.d. pretestuosi, rigettati sulla base di “ragioni manifeste od orientamenti giurisprudenziali consolidati”).

Chi scrive ha da tempo denunciato tale “trend”; ma si è trattato di una singola protesta, mentre le apposite associazioni (in particolare la Società Italiana Avvocati amministrativisti, da cui mi sono dimesso recentemente) non hanno assunto alcuna iniziativa, forse perchè troppo intente ad organizzare convegni e concerti a beneficio di avvocati e magistrati.

Il colpo di grazia alla professione forense è comunque costituito, a mio avviso, dalla bozza del disegno di legge sulla c.d. “liberalizzazione” delle professioni (pubblicata oggi nella rivista), esaminata nel corso del Consiglio dei ministri del 30 giugno scorso, in occasione del quale è stato varato il già citato decreto legge sulla stabilizzazione della finanza pubblica.

La bozza del d.d.l. prevede che, per l’iscrizione all’Ordine degli Avvocati e dei Dottori Commercialisti, sarà sufficiente oltre alla prescritta laurea, solo un periodo di praticantato rispettivamente di 2 anni (per la professione forense) e di 3 anni (per quella di commercialista). Come dire, todos caballeros …. si è stati più radicali del compianto Pres. Luigi Einaudi, il quale predicava a suo tempo l’abolizione del valore legale della laurea: si è pensato infatti, lasciando integra la laurea, di abolire, di fatto, il valore del titolo di avvocato e di dottore commercialista.

Giovanni Virga, 5 luglio 2011.

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Category: Giustizia amministrativa

Commenti (11)

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  1. Mario Giarrusso ha detto:

    Adesso si comprende chi ha scritto il “famigerato” art.37 che prevedeva una nuova norma ad personam per il Berlusconi. Si tratta del solito “giurista”, quello che aveva introdotto già tutta una serie di abonormità giuridiche per far diventare il “suo” tribunale amministrativo un super tribunale, addirittura organo d’appello straordinario di tutti gli altri TAR….la mano è sempre la stessa….si riconosce bene….

  2. Alberto Gaz ha detto:

    Il raddoppio del contributo unito alla recente modifica dell’art. 122, c. 7, codice contratti pubblici, finirà con il creare una vasta zona franca di contratti sottratti al controllo giurisdizionale. Questo dopo che l’AVCP nella relazione al Senato dello scorso 15.6.2011 ha denunciato la poca trasparenza degli appalti in Italia, specie per quelli per importi sotto soglia.

  3. FabC ha detto:

    Non posso che condividere quanto detto da Alberto Gaz. Aggiungendo la risibilità di misure anti-crisi che, anziché favorire la concorrenza tra imprese ela trasparenza, puntano a limitarla o cancellarla.
    Peraltro, la decisione di sostanzialmente eliminare il controllo giurisidizianale sugli atti di Autorità per definizione “indipendenti” mi pare significhi attribuire ad esse un’autorità (stavolta minuscolo) pressoché assoluta, incompatibile col sistema specie laddove vengeno assegnati poteri para-normativi in assenza di copertura costituzionale.

  4. salvo zappalà ha detto:

    Però questa rivista dà poco spazio nè rilievo alle difformità palesi di giudizio. Questo inciderebbe sulla debolezza della giustizia e non si potrebbe legittimare, da parte delle Istituzioni, una richiesta così esosa di denaro, vista la incertezza del sistema giustiziale-amministrativo.

  5. holden ha detto:

    Concordo con il sig. Zappalà: noi avvocati (specie di amministrativo) dovremmo batterci perché il nostro ordinamento presti maggiore attenzione al problema della difformità dei giudizi.
    Secondo me non è giustizia quella che giudica due casi identici in modo difforme.
    Tale pratica decisionale, a mio avviso:
    1) non permette alle imprese di pianificare i propri programmi commerciali e d’investimento;
    2) è aliena al concetto stesso di giusizia (al quale la regola “è uguale per tutti” mi pare dovrebbe appartenere quale sostanza primaria);
    3) crea frustrazione, sfiducia ed insoddisfazione tra gli utenti (alimentando la sensazione delle disparità di trattamento);
    4) mette in difficoltà il difensore (come si fa a spiegare al cliente che la stessa situazione, magari trattata da un altro avvocato, ha avuto esito positivo in giudizio e la sua no?).

    Quanto alla manovra, concordo con il nostro gentile e sempre attento ospite ed aggiungo che quegli importi di contributo unificato non solo sono pregiudizievoli all’esercizio del diritto di difesa, ma introducono anche una odiosa disparità di trattamento: l’impresa con ampia disponibilità finanziaria potrà reagire contro i provvedimenti delle Authority o delle stazioni appaltanti.
    Le imprese “piccole” o i cittadini meno abbienti no.

  6. Donatello Genovese ha detto:

    E’ incredibile come noi avvocati ci lasciamo scivolare addosso simili rovinose decisioni. Bisognerebbe essere indignati al massimo grado ed assumere le necessarie iniziative di protesta, ma sono certo che finiremo ancora una volta per soggiacere supinamente alle angherie dell’establishment, così come è accaduto tante volte nel passato. Del resto, da chi siamo rappresentati?

  7. alarica ha detto:

    Il principio che si va affermando è sempre lo stesso: il cittadino può difendersi dagli altri privati ma non dall’Amministrazione pubblica: bella democrazia, sudditi siamo diventati; se poi si considera che spesso dinanzi al Giudice amministrativo per un privato la strada è in salita … a noi amministrativisti non resta che appendere al chiodo la specializzazione acquisita e “riciclarci” in qualche altro settore. Perché non scendere in campo, scioperando ad oltranza e paralizzando la giustizia amministrativa? Perché non siamo compatti e ognuno bada soltanto al suo piccolo orticello.

  8. alarica ha detto:

    Questa è denegata giustizia e di ciò la stragrande maggioranza dei cittadini è ignara; se ne accorgeranno solo quando avranno necessità di difendere i propri diritti dinanzi ad un Giudice. Con quattromila euro di contributo unificato in materia di appalti, quanto deve chiedere un avvocato di parcella professionale ? I tempi del processo amministrativo si sono ulteriormente ridotti a scapito degli avvocati e gli onorari, invece di aumentare, sono drasticamente diminuiti causa mostruoso aumento del C.U.. Come sempre, le riforme si fanno sempre in danno nostro.

  9. Francesco Ranieri ha detto:

    C’era una volta la Repubblica italiana fondata sul lavoro e c’era un volta pure lo Statuto dei lavoratori ed il processo del lavoro, efficace strumento che la Repubblica, riconoscendo lo stato di “sottoprotezione sociale” del lavoratore, aveva approntato al fine di consentire un’effettiva eguaglianza dei cittadini di fronte alla Legge.
    Non un regalo, non un principio bolscevico ma una scelta di civiltà.
    “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
    Così recita l’art. 3 della Costituzione …
    Per questa ragione sono rimasto francamente esterrefatto quando ho appreso che il 5 luglio, il Presidente Napolitano (estremo baluardo della nostra Carta Fondamentale, colui che meglio di tutti conosce il valore dei principi ivi enunciati) ha in tutta fretta firmato il Decreto Legge con il quale, è stata decretata la fine della gratuità del processo del lavoro.
    Senza troppi giri di parole, per effetto della manovra finanziaria i lavoratori che vorranno rivendicare i propri diritti innanzi al Giudice del lavoro dovranno pagare, il più delle volte, un balzello di € 225,00 (il famigerato contributo unificato).

    Il titolo della norma incriminata è a dir poco beffardo: “Disposizioni per l’efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie”. Sia ben chiaro non v’è una sola norma che sia effettivamente rivolta a quel nobile obiettivo (cui tutti ci assoceremmo, fosse vero) a meno che non si voglia pensare che, facendo un paragone calzante, per avere ospedali più efficienti bisogna ingenerare la celere morte dei pazienti ivi ricoverati così riducendo le liste di attesa….
    “No, grazie, preferisco vivere”, sarebbe il caso di rispondere a chi propone questa cura.

    Mi permetto di portare all’attenzione degli sparuti lettori anche un’altra norma contenuto in questo incredibile decreto legge passata completamente sotto silenzio anche nei commenti di illustri Colleghi, sindacati e Politici.
    All’art. 16, rubricato “Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico”, è stato inserito un comma che così recita: “In ragione dell’esigenza di un effettivo perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea relativamente alla manovra finanziaria per gli anni 2011-2013, qualora, per qualsiasi ragione, inclusa l’emanazione di provvedimenti giurisdizionali diversi dalle decisioni della Corte costituzionale, non siano conseguiti gli effetti finanziari utili conseguenti, per ciascuno degli stessi anni 2011-2013, alle disposizioni di cui ai commi 2 e 22 dell’articolo 9 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, i medesimi effetti finanziari sono recuperati, con misure di carattere generale, nell’anno immediatamente successivo nei riguardi delle stesse categorie di personale cui si applicano le predette disposizioni.”

    Volutamente ho evitato il “rimaneggiamento del testo” perché possa essere letto e riletto da ciascuno nella sua incredibile eversività (è impossibile utilizzare un termine meno forte).

    In estrema sintesi il legislatore afferma expressis verbiis che, nel caso in cui una categoria di personale (anche la terminologia ha qualcosa di nuovo, anzi di antico, riecheggiando i mitologici direttori dei filmi di Fantozzi) si veda riconosciuta diritti economici fino ad allora negati dallo Stato, beh. Non canti vittori, perché quegli stessi soldi gli saranno scuciti dalla tasca per effetto di “provvedimenti di carattere generale” che OBBLIGATORIAMENTE dovranno colpire quella stessa categoria di personale.
    Una graziosa “bomboniera” consegnata dal Ministro Brunetta a ciascuno dei suoi dipendenti sottoposti, che avevano osato autoinvitarsi al suo imminente matrimonio…

    Addio, dunque, alla civiltà giuridica ed addio alla Giurisdizione a meno che…

    … a meno che qualcuno si rifiuti di ratificare un provvedimento che più incostituzionale non si può ! A meno che tutti e ciascuno si faccia qualcosa !
    Lo propongo a tutti i lavoratori, a tutti gli elettori, a tutti i sindacati, a chi è rimasto al cinema a godersi le gesta del Dott. Stranamore, a chi sostiene che sì, la congiuntura economica è sfavorevole ma “nessuno tocchi le Province” perché quelle spese sono necessarie almeno quanto la pensione del Parlamentare !
    Lo chiedo anche al Presidente Berlusconi ed al suo Governo tutto cui sarebbe giusto dare ogni sostegno se accettasse un ragionevole baratto: la norma “salva Fininvest” subito applicabile in cambio del diritto dei lavoratori a poter accedere EFFETTIVAMENTE alla Giurisdizione.

  10. Francesco Volpe ha detto:

    Caro professore,

    non tornerò sulla questione del contributo unificato. Lei e chi mi ha preceduto hanno già detto tutto quello che si doveva dire.

    Vale a dire che la norma è incivile e contraria alla Costituzione. Altro non serve aggiungere.

    Vorrei intervenire, invece, sulla progettata abolizione dell’esame di Stato, per gli avvocati.

    Secondo il mio modo di vedere, la soluzione migliore sarebbe proprio quella di abolire il valore legale della laurea e, quindi, prevedere un esame di Stato che accerti effettivamente il valore dei candidati, sulla base della loro preparazione e indipendentemente dalla laurea posseduta.

    Ma visto che questo non si vuole fare, allora forse non è sbagliata l’idea di togliere di mezzo l’esame.

    Che senso ha, infatti, l’attuale esame di Stato?

    In primo luogo, esso non è un esame che permette di distinguere il grano dalla pula, perché è aleatorio.

    L’aleatorietà nasce dal fatto le Commissioni esaminatrici giudicano in modo evidentemente difforme.

    Sia inteso, una certa “non omogeneità” nella valutazioni è inevitabile. Quando ho fatto parte di quell’organo (più di una volta, ahimé) ho constatato che la mia stessa sottocommissione correggeva in modo diverso gli elaborati affrontati per ultimi, da quelli esaminati due o tre mesi prima. Ciò è inevitabile: l’amalgama dei componenti il collegio non si raggiunge immediatamente e anche l’approfondimento delle tracce, nel pensiero dei Commissari, cresce man mano che si procede. Il fatto poi che le correzioni vengano dilatate per un tempo necessariamente lungo è di ostacolo ad una verifica del tutto coerente, perchè alla fine non si ricorda come si è giudicato all’inizio.

    Ma l’aleatorietà, in questi termini, è accettabile.

    È meno accettabile se si considera, invece, che le Commissioni di esame sono plurime, perché alla Commissione istituite in ogni Distretto dobbiamo poi aggiungere le varie sottocommissioni e, quindi, i supplenti delle sottocommissioni, che finiscono per formare organo aggiuntivo e a sé, data l’esigenza di procedere in fretta.

    Con tanti organi chiamati a giudicare, è inevitabile che taluni candidati siano bocciati, quando invece una diversa Commissione li promuoverebbe e viceversa.

    A ciò si aggiungano innegabili diversità “culturali” nelle stesse Commissioni. È accertato che in certi Distretti si è, di solito, di manica stretta, mentre in altri si tende a largheggiare.

    Perciò, la stessa legge ha preso atto di questa aleatorietà, inventandosi lo scambio delle commissioni, nella verifica dello scritto e dell’orale: Venezia fa l’orale ai candidati esaminati nello scritto da Bari e Firenze a quelli di Bologna. Con la conseguenza che i candidati che, in quell’anno, “peschino” la Commissione “giusta” per la correzione degli scritti finiscono per vincere una sorta di lotteria, mentre gli altri la perdono. Ma una legge che istituzionalizza la lotteria, nello svolgimento di un esame di Stato, è di per sé incongrua e tanto vale pensare di modificarla.

    Non è solo l’aleatorietà, però, il vizio dell’attuale prova di Stato.

    Soprattutto, va detto che la prova non è in grado di verificare l’effettiva attitudine dei candidati. Questo perché ci si ostina a mantenere in vigore (per motivi sui quali non è bene soffermarsi troppo e che saranno quelli che, infine, scongiureranno l’attuarsi della riforma progettata) quella famigerata disposizione che permette di avvalersi, alla prova scritta, dei codici commentati con la giurisprudenza.

    Da un lato ciò comporta che è praticamente impossibile che un candidato, dotato di un minimo di intelligenza e di sangue freddo, non produca un elaborato sufficiente, sia pure al minimo.

    Per altro verso, tutti i compiti finiscono per essere tra loro assai simili. Perché in tutti i compiti troveremo riportata sempre quella massima della Cassazione che, al termine della correzione, i Commissari saranno in grado di recitare a memoria.

    Così, però, non si è in grado di operare una effettiva selezione.

    Anche la prova orale non dà migliori garanzie. Si consente al candidato di scegliersi cinque materie, a patto che vi sia almeno (almeno?) una materia processuale. E, così, tutti finiscono per inserire l’ecclesiastico, l’internazionale privato, il costituzionale, il comunitario.

    Materie degnissime, è chiaro; e di alto valore culturale. Ma quanti sono gli avvocati e i giudici che effettivamente le praticano tutti i giorni? Con la conseguenza che gli stessi Commissari non sono preparati a interrogare su quelle materie, limitandosi a chiedere quell’abbiccì appreso dai “Bignami”, frettolosamente compulsati dagli stessi candidati. L’esame orale, perciò, si risolve in un esame di procedura civile o di procedura penale (e, quando va bene, si aggiunge il civile o il penale sostanziali), che però è troppo poco.

    Quanto poi ai contenuti delle prove, essi sono ripetitivi (al ribasso) degli esami di Università. Ma, decidendosi che solo la laurea in giurisprudenza, con il suo valore legale, permette l’accesso all’esame di avvocato, perché tornare a chiedere, in quella sede, quello che a suo tempo già chiesi all’esame universitario di diritto amministrativo?

    Esame aleatorio, dunque; esame non in grado di operare una effettiva selezione ed esame contenutisticamente inutile.

    Chiediamoci, a questo punto, quali sono i costi sociali di tutto questo procedimento che viene avviato, ogni anno, nella seconda decade di dicembre. Al di là dei costi effettivi (affitti dei capannoni in cui svolgere le Commissioni, diarie – per la verità ridicole – spese rimborsande, materiale di cancelleria), vi è, infatti, un capitale umano non indifferente che viene impegnato. Ogni sottocommissione, infatti, è composta da due giudici, due avvocati e un professore d’Università. Nel mio Veneto, credo che le sottocommissioni siano otto. Tenendo conto dei supplenti, diventano sedici. Il che significa che all’esame di stato ogni anno sono destinati trentadue magistrati, trentadue avvocati e sedici professori d’Università.

    Si tratta di un impegno assai lungo, che copre praticamente tutto l’anno. La prima volta che feci parte della Commissione, dedicai all’opera trentaquattro giorni lavorativi interi.

    Ogni settimana di quell’anno, in sostanza, ho dedicato uno dei miei giorni di lavoro agli esami di Stato. Un quinto della mia attività lavorativa, perciò.

    Ma, come è accaduto a me, così è valso anche per tutti gli altri Commissari. Se, dunque, dividiamo trentadue per cinque, otteniamo che, nel solo Veneto, dedichiamo ogni anno l’intera attività di sei magistrati e spiccioli (nonché di altrettanti avvocati) all’esame di Stato. La forza lavoro dei professori d’Università, invece, è pari a tre unità dedicate solo a questo.

    È dunque utile, per il complessivo apparato, sostenere un tale costo? Se i magistrati e i professori di Università non facessero parte delle Commissioni d’esame, attenderebbero al loro lavoro ordinario: farebbero udienze, scriverebbero sentenze, farebbero lezioni, esami, produrrebbero testi scientifici. E, invece, quelli si riuniscono in combriccola per leggersi, tutti insieme, reiteratamente, la solita – sempre la stessa – massima della Cassazione, ripetuta fino alla nausea negli elaborati di esame.

    Ma non meno grave è l’impegno chiesto al ceto forense, giacché gli avvocati che partecipano alla Commissione debbono essere abilitati alla Cassazione. Si tratta, pertanto, di professionisti anziani e di esperienza, che potrebbero dedicare meglio la loro opera a profitto dei loro clienti. Vale a dire dei cittadini.

    Si aggiunga, poi, che ogni sottocommissione è assistita da un cancelliere, per tutto il tempo delle sue operazioni. Anche qui, dunque, troviamo del personale che non è impiegato per le sue funzioni ordinarie. Personale prezioso, per di più.

    Dunque, l’esame di Stato, così come è congegnato, oltre ad essere aleatorio, non in grado di operare la selezione, ripetitivo nel suo accertamento, è anche estremamente costoso in termini di risorse umane impegnate.

    Ecco perché ritengo che non valga più mantenerlo, almeno così come esso è congegnato.

    Non credo, invece, che l’esame vada abolito perché, tanto, sarebbe poi il mercato a fare la differenza. Tale tesi, pur diffusamente sostenuta (e in astratto non avulsa da chi, come me, si professa portatore di idee liberali), non vale per il mercato forense.

    Perché il mercato è in grado di operare una effettiva selezione solo se esso è in grado di rispondere con efficienza e coerenza, selezionando l’offerente migliore rispetto a quello peggiore. Dunque, il mercato forense dovrebbe selezionare l’avvocato migliore, quando quello vince le cause che dovrebbe vincere e quando perde nel modo migliore le cause che dovrebbe perdere.

    Ma così non è, perché il mercato forense risponde in modo non prevedibile (giacché le sentenze non sono tali) e perché il mercato non risponde in tempi solleciti (giacché i giudizi si concludono troppo lentamente). Se il giovane avvocato dovesse aspettare l’esito dei suoi giudizi per affermarsi, egli vedrebbe riconosciuto il proprio merito solo alle soglie della pensione.

    Se mai, il mercato influisce sotto altro aspetto. Esso, infatti, è sempre più in contrazione, con la conseguenza che la professione forense attira sempre meno giovani leve. Sarà questa, dunque, l’effettiva selezione, che colpirà tanto i bravi quanto gli scalzacani, i giovani aspiranti come le vecchie volpi d’udienza.

    A questo punto, mi verrebbe da citare quel ciclista toscano: forse è proprio vero che gli è tutto da rifare.

    E poiché il pensiero torna, così, anche all’aumento del contributo unificato, mi appresto a iniziare ancor più mesto questa calda mattinata di luglio 2011.

  11. luisetta peronato ha detto:

    Leggo i commenti lasciati dai Colleghi, sulla scia delle considerazioni del Prof. Virga. Ciò che in effetti mi colpisce davvero in questa nuova normativa non è solo e soltanto l’abnorme aumento del c.u. nei ricorsi al TAR in materia di contratti publici ( già era carissimo prima 2000,00 euro, figuriamoci ora! )ma quale sarà la ricaduta di tutto ciò. Solo le grosse imprese, che magari vanno a far discutere i loro legali di importanti commesse soprasoglia, avranno la possibità di spendere queste cifre. Le piccole imprese sicuramente no, o comunque ci penseranno bene ( ed in fretta perchè 30 giorni per impugnare l’aggiudicazione definitiva passano in soffio ) se anticipare detta somma al proprio avvocato.E poi la chiamano democrazia….

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