Delitto e castigo

di | 25 Agosto 2013 | 6 commenti Leggi

Confesso di provare un senso sempre più forte di nausea nel leggere le cronache delle ultime settimane riguardanti la situazione politica italiana. Sembra di leggere delle “cronache da Marte”, come ha detto argutamente Sergio Rizzo in una recente puntata della trasmissione “In onda” di Telese su La 7. Scrivere su tale situazione può quindi sembrare un esercizio masochistico ma, a ben vedere, è anche un modo per esorcizzare la crescente nausea.

Mentre la situazione economica continua ad essere gravissima, con imprese anche storiche che chiudono a ripetizione, mentre continuano inarrestabili gli sbarchi quotidiani di clandestini, che minacciano di moltiplicarsi a seguito dell’aggravarsi della tragedia del vicino medio oriente (Siria, Egitto, Libia, Libano), mentre il debito pubblico palese ed occulto (mi riferisco anche a quello delle Regioni e dei Comuni, che non viene solitamente conteggiato) continua a gonfiarsi inesorabilmente, siamo tutti intenti, more solito, ad occuparci dei guai giudiziari di Berlusconi.

Il PDL, in un comunicato redatto ieri da Alfano, dopo il summit di Arcore, ha affermato che un provvedimento di decadenza di Berlusconi dalla carica di senatore è “impensabile e …. inaccettabile”; e, dal suo punto di vista, ha pure ragione, anche se per motivi diversi da quelli che si intendono fare vale, che chiamano in causa addirittura la nostra Carta costituzionale (il comunicato infatti recita che la decadenza sarebbe “costituzionalmente inaccettabile”).

In un Paese normale, i guai giudiziari del leader di un partito politico non potrebbero mai e poi mai condizionare il futuro del Paese stesso, ma verrebbero presto superati mediante la nomina di un nuovo leader; anche per la Chiesa vale il detto secondo cui “morto (o dimesso) un Papa, se ne è fatto sempre un altro”; nel caso del PDL ciò è impossibile, semplicemente per il fatto che Berlusconi è per tale partito e, addirittura, per tutto il centrodestra, insostituibile.

E’ quella che io considero la “assicurazione sulla vita” politica che si è autocostruito Berlusconi, creando un partito nel quale tutte le personalità di rilievo di un tempo, che brillavano di luce propria (come ad es. Martino, Urbani, Tremonti), sono state gradualmente ma inesorabilmente esautorate o comunque marginalizzate. Sono stati invece imbarcati una serie di uomini e di donne di scarse per non dire nulle qualità, la cui principale virtù è quella di professare continuamente la propria fedeltà al Capo supremo, anche perchè ben sanno che, senza di lui, difficilmente avrebbero avuto ingresso in Parlamento e, soprattutto, nel caso di nuove elezioni, continuerebbero a calcare la scena politica (come diceva giustamente La Rochefoucauld, “la gratitudine non è nient’altro che l’aspettativa di futuri favori”).

Il sistema elettorale prescelto (il c.d. “Porcellum”) è stato pienamente funzionale a tale piano, o meglio, alla “polizza sulla vita” che il Cav. si è nel tempo costruito. Il sistema dei “nominati” non solo ha impedito ai migliori di emergere, ma ha finito per fare venire a galla una serie di “nani e ballerine” la cui principale dote è, come già detto, quella di assecondare i desiderata del leader maximo, a cui debbono tutto. E’ questo il principale “delitto” che io imputo a Berlusconi, ben più grave di quello per il quale è stato condannato in sede penale: in vent’anni non solo non ha mantenuto le promesse più volte sbandierate di liberalizzare la società italiana, pur avendo ricevuto in alcuni momenti un consenso quasi plebiscitario, ma non ha neanche voluto costruire una classe politica che sopravvivesse alla sua scomparsa, ma anzi ha scientemente costruito un partito che si regge solo su di lui (anche perché forse è ben conscio del fatto che spesso in Italia, fin dai tempi di Macchiavelli, la lealtà è un optional troppo costoso, mentre il tradimento è una virtù che, al momento opportuno, porta diversi vantaggi).

Non ha tuttavia considerato che in tal modo, piuttosto che creare un fiume che scorre nel tempo, ha realizzato uno stagno nel quale l’acqua sta imputridendo e, prima o dopo, si prosciugherà (nessuno di noi è immortale e, soprattutto, non molti, dopo vent’anni, avranno ancora la pazienza di aspettare che Berlusconi risolva tutte le sue pendenze giudiziarie, mentre il Paese va a rotoli). La conseguenza di tale “delitto” politico, come dirò meglio in seguito, è anche il “castigo” che gli stanno per infliggere: la decadenza da senatore e l’ineleggibilità alle prossime elezioni politiche.

L’opposizione, che ha pure brillato per la sua pochezza e la confusione di idee (v., ad esempio, da ultimo la sorprendente richiesta di aiuto al Presidente degli Stati Uniti per far modificare le nuove regole del Monopoli), avendo capito che per distruggere la parte avversa ed avere il sopravvento è sufficiente eliminare il suo “leader maximo”, ha moltiplicato i sui sforzi a tal fine, combattendo sul piano personale e giudiziario Berlusconi piuttosto che sul piano delle idee, offrendo un programma alternativo e chiaro. Sembra quindi velleitario, ora che sono ad un passo dal traguardo, chiedere loro di fare un passo indietro, magari sollevando, in sede di Giunta chiamata ad esprimersi sulla decadenza
di Berlusconi, la questione di legittimità costituzionale della c.d. legge Severino.

La parabola dell’attuale Governo Letta rischia così di essere simile alla favola di Esopo dello scorpione e della rana, la quale, com’è noto, racconta di uno scorpione che chiede a una rana di lasciarlo salire sulla schiena e di trasportarlo all’altra sponda di un fiume. La rana, temendo di essere punta durante il viaggio, in un primo tempo si rifiuta, ma poi finisce per accettare convinta dall’argomento dedotto dallo scorpione, il quale ha fatto presente che, se pungesse la rana durante il guado, anche lui cadrebbe nel fiume e, non sapendo nuotare, morirebbe insieme alla rana. Così la rana accetta e inizia a trasportarlo, ma a metà del guado lo scorpione punge la rana condannando a morte entrambi. Quando la rana sente la puntura dello scorpione chiede il perché del suo gesto e lo scorpione risponde: “Non ci posso fare niente. È la mia natura”. La “natura” del PD, così come dimostrato in tutti questi anni, è appunto quella di voler “pungere” a tutti i costi Berlusconi. E’ quindi inutile aspettarsi che non faccia ciò, anche se sta attraversando un difficile guado per il Paese assieme al PDL ed anche se rischia di trasformare Berlusconi in un martire della giustizia. L’unico che ha intelligentemente avvertito questo pericolo è, allo stato, solo Violante che, per tale motivo, è stato attaccato a testa bassa dal suo stesso partito.

Il castigo derivante dal sistema voluto da Berlusconi è stato anche di aver favorito l’avanzata clamorosa di un movimento di protesta (il Movimento 5 stelle) capeggiato da un ex comico, il quale, utilizzando proficuamente l’attuale sistema elettorale (il Porcellum), ha portato in Parlamento una nutrita pattuglia di “nominati” pressochè sconosciuti, i quali debbono tutto a Grillo e che quindi dipendono integralmente, al pari dei “berluscones”, dal loro “leader maximo”. Non è quindi un caso che recentemente Grillo abbia scritto che per lui il sistema elettorale attuale (il ripetuto “Porcellum”) va bene e si può andare a votare con esso. Mi sorprende che un giornalista scafato come Stella, in un recente articolo di fondo sul Corriere della Sera (intitolato “Il Porcellum a 5 Stelle“), abbia scritto di essere rimasto stupito di ciò. In realtà, come si poteva leggere anche in questa rivista, diversi mesi addietro, poco dopo l’insediamento del nuovo Parlamento, il Movimento 5 stelle aveva presentato un disegno di legge che confermava l’attuale sistema elettorale, tranne nella parte in cui non prevede il sistema delle preferenze. Di sistema maggioritario, basato sulle qualità personali dei candidati, neanche a parlarne.

Ma il “castigo” più grave (la ineleggibilità di Berlusconi) deriva anche e soprattutto dall’insipienza dei suoi “nominati”, i quali hanno approvato la c.d. legge anticorruzione, che delegava il Governo ad emanare quello che poi è diventata la c.d. legge Severino (D.Lgs. 31 dicembre 2012 n. 235) senza preoccuparsi di precisare che le norme sull’incandidabilità, in forza del principio di irretroattività della legge penale, non potevano applicarsi a condanne per fatti od atti compiuti prima della sua entrata in vigore. Bastava questa semplice postilla, di poche parole, per disinnescare sul nascere la situazione di pericolo che poi si è realizzata. Gli avvocati che partecipano alla redazione dei contratti sono abituati ad prevedere, con apposite clausole o caveat, tutti i possibili pericoli o problemi interpretativi. Così, evidentemente, non avviene quando il PDL è chiamato a votare le leggi in Parlamento.

Nè la predetta precisazione è stata introdotta dopo che, praticamente all’indomani dell’entrata in vigore della legge Severino, il Consiglio di Stato, con la sentenza della Sez. V, 6 febbraio 2013 n. 695 (a suo tempo pubblicata in questa rivista e recentemente ripubblicata con apposito richiamo in copertina), aveva affermato che l’incandidabilità prevista da detta legge “non solo non costituisce una misura di natura sanzionatoria penale, ma neppure una sanzione amministrativa o una disposizione in senso ampio sanzionatoria”. “Il citato D.L.vo contempla, infatti” – secondo la richiamata sentenza – “casi di non candidabilità che il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, ha ritenuto di configurare in relazione al fatto che l’aspirante candidato abbia subito condanne in relazione a determinate tipologie di reato caratterizzate da uno speciale disvalore”; di qui la conseguenza che tale incandidabilità “non si pone in contrasto con il principio di irretroattività delle disposizioni penali e, più in generale, delle disposizioni sanzionatorie ed afflittive, ricavabile dalla Carta Costituzionale e dalle disposizioni della CEDU”.

Con la stessa sentenza è stata ritenuta infondata la q.l.c. delle disposizioni sulla incandidabilità introdotte dall’art. 7 del D.Lgs. 31 dicembre 2012, n. 235, eccepita in relazione agli artt. 3 e 51 della Costituzione, in considerazione della natura non sanzionatoria degli effetti preclusivi sanciti dalla stessa norma. Costituisce, infatti, frutto di una scelta discrezionale del legislatore, certamente non irrazionale, l’aver attribuito all’elemento della condanna irrevocabile per determinati reati una rilevanza così intensa, sul piano del giudizio di indegnità morale del soggetto, da esigere, al fine del miglior perseguimento delle richiamate finalità di rilievo costituzionale della legge in parola – connesse ai valori dell’imparzialità, del buon andamento dell’amministrazione e del prestigio delle cariche elettive – l’incidenza negativa sulle procedure successive anche con riguardo alle sentenze di condanna anteriori alla data di entrata in vigore della legge stessa”.

Anche questa sentenza (che risale al febbraio scorso e quindi ad oltre 6 mesi addietro), che ha confermato la sentenza del T.A.R. Molise, Sez. I, 1° febbraio 2013 n. 27, in LexItalia.it, avrebbe dovuto far suonare un campanello di allarme tra i consiglieri del Cav., i quali a parole si dichiarano pronti a dimettersi pur di salvare il loro leader e vogliono ora sollevare quella questione di costituzionalità che il Consiglio di Stato oltre sei mesi addietro ha ritenuto manifestamente infondata. Una questione peraltro puramente dilatoria, tenuto conto del fatto che presto interverrà la pronuncia sulla durata dell’interdizione dai pubblici uffici da applicare nei confronti di Berlusconi. Forse anche per questo Violante, furbescamente, l’appoggia.

Il “delitto” (politico) di Berlusconi è quindi questo: di essere circondato da una serie di personaggi, da lui nominati, che non si sono accorti neanche di quello che hanno votato e di quel che è successo in seguito nel campo giuridico, sotto il profilo più squisitamente esegetico. Ed il suo “castigo” è che egli verrà paradossalmente “infilzato” con una legge votata – e non modificata per tempo – dal suo stesso partito. Con l’ulteriore effetto negativo di trasformare le prossime elezioni in un ennesimo referendum pro o contro Berlusconi (Silvio o Marina, non importa), fingendo di ignorare i tantissimi problemi che ci affliggono. Se quindi il “delitto” di cui si è detto è imputabile a Berlusconi, il vero castigo spetterà a tutti noi.

Giovanni Virga, 25 agosto 2013.

Print Friendly, PDF & Email

Category: Giustizia, Società

Commenti (6)

Trackback URL | Comments RSS Feed

  1. Avv.Ottavio Carparelli ha detto:

    Chiarissimo Prof. Virga,

    il suo articolo, che condivido, è una analisi oggettiva e lucida dei fatti; purtroppo, effettivamente, il castigo spetta a tutti noi.

    Ciò è confermato dal fatto che è di poche ore fa l’ultimatum del Pdl al Colle e a Letta, secondo cui è impensabile far decadere Berlusconi.

  2. Massimo Perin ha detto:

    in ogni caso è bene non dimenticare che i fatti riguardanti il leader del centro destra sono anche la conseguenza dell’assenza di una legge sul conflitto d’interessi.

  3. Francesco Tedeschi ha detto:

    Preg.mo Prof. Virga,

    nel condividere pienamente quanto Lei scrive, credo sia importante prendere visione della relazione illustrativa al D.Lgs. n. 235/2012, (che non mi sembra sia stata citata nei tanti pareri ed opinioni finora letti ed ascoltati), perché risponde ( in modo “retroattivo”) alle ipotesi di presunta incostituzionalità della norma lette ed ascoltate finora.

    http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/695198.pdf

  4. Claudio Rossi ha detto:

    Sorprende un pò questo astruso dibattito che – riguardo il caso Berlusconi – sta coinvolgendo anche illustri operatori del diritto, quali alcuni ex presidenti della Consulta, che si alternano nel fornire spiegazioni e prospettare soluzioni o via d’uscita.

    Se, come osserva il prof. Virga, l’errore di Berlusconi è stato quello di circondarsi di “personaggi, da lui nominati, che non si sono accorti neanche di quello che hanno votato”, cosa dire di coloro che non appartengono a quella cerchia e che tuttavia tendono a ripetere o a suffragare ragionamenti analoghi?

    A leggere quel che si pubblica, sembra che la legge “Severino” (recte: D.Lgs. 31 dicembre 2012 n. 235) sia piombata, d’improvviso, sulla terra da Marte mentre, invece, non è – nei i suoi aspetti più generali – niente più che l’estensione di regole che da già qualche lustro si applicano, senza sollevare soverchi problemi, agli amministratori locali (Regioni, province, comuni).

    Bene ha fatto Lexitalia a segnalare la giurisprudenza del Consiglio di Stato (e prima il TAR Molise) che fin all’inizio del 2013 ha fornito l’interpretazione più netta ed autorevole della normativa recata dal citato D.lgs. n. 235/2012. Nihil novi sub sole! Era stato tutto già scritto sin dalla ormai lontana legge 18.01.1992, n. 16.

    Cito a caso e senza alcuna pretesa di completezza ma sarebbe bastato rifarsi a quanto affermato da Cass. civ. Sez. I, 24-11-1994, n. 9953; Cass. civ. Sez. feriale, 27-10-1993, n. 10700; Cass. civ. sez. I, 12 -04- 1996, n. 3490; Cons. Stato (Ad. Gen.), 30-11-1992, n. 172; Corte cost., 24-06-1993, n. 288; Corte cost., 13-07-1994, n. 295; Corte cost., 31 -03- 1998, n. 114; Corte cost., 15 -05 -2001, n. 132. Era già stato sviscerato ed analizzato tutto della materia che ora appare controversa o controvertibile. Centinaia di amministratori locali hanno dovuto sottostare ai rigori della legge.

    La verità più inquietante che emerge da questo “surreale” dibattito è che sembrano esistere due ordinamenti paralleli: quello degli enti locali, nel quale il rigore può e deve essere applicato senza riserve; e quello dei rami alti del sistema che invece tende a sottrarsi – non diversamente da quanto facevano scribi e farisei ai tempi di Gesù (Mt. 23,4) – dagli obblighi che invece si addossano ai soggetti che fanno parte dei rami bassi.

    Del resto, in uno dei precedenti che possono rilevare nella subiecta materia e ben prima che Berlusconi fosse coivolto è capitato che un giudice di questa Repubblica (TAR AQ, 17.01.2002, n. 7. Trattasi del noto caso “Salini”, per cui risultò che lo stesso Salini fosse “indegno” di sedere tra i banchi del Consiglio regionale d’Abruzzo ma “idoneo” a rivestire la carica di Senatore) arrivasse a giustificare il diverso regime che proprio prima della “legge Severino” esisteva tra i parlamentari e tutti gli altri “amministratori” pubblici. Quel tribunale ritenne, infatti, che i requisiti di “onorabilità” (perché di questo si tratta anche alla luce di quanto esige l’art. 54 della Costituzione dai cittadini chiamati ad adempiere “funzioni pubbliche”) dovessero essere posseduti dai soggetti chiamati ad assidersi nei consessi amministrativi dei più sperduti comuni d’Italia mentre non dovessero esigersi dai “legislatori”. E ciò in base a questo singolare ragionamento: i primi possono “reiterare” “detti illeciti comportamenti in fatti di gestione amministrativa” mentre, nel caso dei “legislatori”, “non si vede come ciò possa accadere per soggetti che, eletti alle cariche parlamentari e facenti parte di vaste assemblee, sono destinati ad esercitare la sola funzione legislativa”.

    Ragionamento non soltanto intrinsecamente incomprensibile (non si capisce come si possa essere più intransigenti con il consigliere del più piccolo comune d’Italia rispetto a chi è chiamato ad esercitare la superiore e più delicata funzione legislativa) ma sicuramente e clamorosamente smentito dai fatti, attesi i numerosi episodi di malcostume che purtroppo coinvolgono ed hanno coinvolto anche numerosi parlamentari.

    Se quel giudice avesse ragionato diversamente oltre dieci anni fa ed avesse accolto l’eccezione di legittimità costituzionale allora sollevata forse non avremmo perso un decennio; non avremmo alimentato la cultura dell’impunità che si nasconde dietro certe posizioni e non saremmo oggi a vivere questo dibattito piuttosto surreale.

    • Francesco Giovinazzo ha detto:

      Spiace constatare che la presunta diversità di onorabilità richiesta al consigliere comunale del più piccolo dei comuni ed il parlamentare-legislatore, venga ‘”autorevolmente” ascritta addirittura al volere dei costituenti! (Cfr., a tal proposito, il parere “pro vertitate” di Zanon, Caravita e De Virgottini).

      Assurde, a mio modesto avviso, anche le tesi di qualche giurista(?) autorevole di sinistra (leggasi, Violante). Se la Giunta ritessere le norme della legge Severino incostituzionali non dovrebbe sollevare la questione alla Corte, bensì proporre unanimemente o nei suoi singoli componenti una sua modifica all’assemblea che l’ha approvata.

      Altrimenti si limiti ad applicarla. La eccezione di incostituzionalità sara’ eventualmente sollevata dall’organo competente, solo previa impugnazione da parte di B. delle determinazioni obbligate della stessa Giunta.

      Così funziona (o dovrebbe funzionare…) in uno stato di diritto.

  5. avv. attilio battaglia ha detto:

    Ma!? La questione è contorta. il legislatore, come disse un presidente di TAR, spesso fa le leggi con i piedi e non con le mani, e senza mente.

    In effetti, in tutto l’ordinamendo i casi di incompatibilità, etc. si verificano al verificarsi dell'”evento”. In questo caso non è il reato che viene riguardadato – altrimenti si porrebbe un problema di esecutività di sentenza di primo o secondo grado mentre qui siamo alla definitiva, ma la sentenza stessa che sopravviene dopo l’entrata in vigore della norma “legge Severino”. Non è questione di retroattività della punibilità di un fatto reato, stante che praltro non siamo dinanzi al giudice penale ma “civile” a cui è equiparata la decisione della giunta delle camere.

    Insomma, la legge non ha come oggetto della fattispecie il fatto reato ma la sentenza, l’accertamento di un fatto definitivamente svolto dal giudice, che prima non poteva conoscersi. Il disvalore che il legislatore ha inteso punire è l’accertamento di un fatto, non la sanzione penale da applicare oggi per un fatto reato di ieri. quindi le norme sulla retroattività delle leggi penali – art. 2 codice penale – non sono conferenti. Rimane solo la possibilità di clemenza – grazia.

Inserisci un commento