Sull’applicabilità o meno della usucapione alle occupazioni illegittime della P.A.

di | 7 Luglio 2014 | 5 commenti Leggi

Talvolta, esaminando la giurisprudenza, ho l’impressione che il giudice nazionale (sia amministrativo, che civile) abbia la tentazione – allorché la P.A. sia parte del giudizio – di dare ad essa un “aiutino”, nello stesso modo in cui ci si comporta con gli alunni meno preparati e magari meno dotati. Forse ciò deriva dalla nostra educazione cattolica, che ci spinge ad essere misericordiosi con i deboli e gli indifesi.

In realtà, come tutti sappiamo, la P.A. non è né debole né indifesa (onde non ha bisogno di alcun “aiutino”), dato che dispone, oltre che di efficientissimi mezzi ordinari di difesa (mi riferisco agli ottimi ed agguerriti Avvocati dell’Avvocatura dello Stato nonché degli Enti pubblici), anche del potere di autotutela e perfino di armi improprie (come quelle rappresentate dalle norme “interpretative”).

Tuttavia, come ricordato giustamente da una recentissima sentenza del Giudice delle leggi del 4 luglio 2014 (pubblicata in questa rivista), il principio di “parità di parti” ex art. 111 Cost. non consente alla P.A. ed in particolare alla sua massima espressione (e cioè al Governo) di emanare norme che interferiscono su processi pendenti in cui la stessa è parte, determinandone fatalmente l’esito. E così la P.A. non può “barare”, emanando norme singolari – prive quindi dei caratteri di generalità ed astrattezza, che in tesi ogni norma equa dovrebbe possedere – che finiscono per determinare l’esito di un giudizio pendente.

Il discorso tuttavia a questo punto rischia di essere troppo lungo e, soprattutto, di portarci fuori tema.

Il tema infatti non è quello dei limiti di ammissibilità delle cd. leggi-provvedimento (argomento questo interessantissimo e meritevole di apposita trattazione), ma quello della rilevata tendenza del giudice (sia amministrativo che civile) di dare spesso, in modo forse inconsapevole ma senz’altro improprio, un “aiutino” alla “povera” P.A. che sia parte del giudizio.

Un esempio di tale tendenza si riscontra in tema di conseguenze che derivano nel caso di occupazioni illegittime della P.A. nell’ambito dei procedimenti espropriativi.

Com’è noto in passato la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione, sovvertendo le tradizionali regole civilistiche esistenti fin dai tempi dei romani (secondo cui “superficies solo cedit”), aveva in un primo tempo “inventato” – dico inventato perché la regola non era prevista da alcuna norma positiva – la teoria della cd. “accessione invertita”, in forza della quale la preminente importanza dell’opera pubblica comportava, nel caso di realizzazione dell’opera stessa e di irreversibile trasformazione del fondo del privato, l’acquisizione dell’area privata in mano pubblica, con la previsione quindi di un risarcimento del danno al privato ingiustamente espropriato e con esclusione della restituzione dell’area.

E’ altrettanto noto che tale teoria, elaborata con una serie interminabile di sentenze e di dotti articoli di dottrina, è, per così dire, “saltata” a seguito di ripetuti interventi della giurisprudenza comunitaria (a proposito, sia detto per inciso: se mi chiedete se c’è un singolo valido motivo per rimanere in Europa, risponderei senza esitazione che esso è rappresentato dalla giurisprudenza comunitaria e dall’influsso che ha avuto sul nostro ordinamento), poi recepiti, sia pure con un certo ritardo, dal nostro Giudice delle leggi.

Ma la vicenda delle conseguenze che derivano nel caso di occupazioni illegittime della P.A. non si è affatto conclusa: come una idra con molte teste, la questione continua a riproporsi in diverse forme.

Lasciando per un attimo da parte la questione circa la compatibilità con l’ordinamento comunitario dell’istituto della cd. “acquisizione sanante”, della quale è stata già investita la Corte di giustizia, e della sorprendente teorica della perdita della proprietà “per abbandono”, per fortuna ormai apparentemente caduta nell’oblio, il problema si è ripresentato con riferimento all’asserita applicabilità dell’istituto della usucapione anche nel caso di terreno occupato dalla P.A. nell’ambito di un procedimento espropriativo. Anche in questo caso la giurisprudenza, nella speranza di dare un “aiutino” alla “povera” P.A. indifesa (ma che ha, grazie ai suoi poteri di supremazia speciale, occupato un bene privato), ha ammesso fin qui quasi generalmente la possibilità per la P.A. di eccepire – in un giudizio restitutorio e/o risarcitorio intentato dal privato – la intervenuta usucapione.

La tesi si è rivelata ancora più perniciosa e mortificante per il privato rispetto a quella precedente relativa alla cd. “occupazione acquisitiva”, dato che, come è facile capire, mentre quest’ultima lasciava al privato la possibilità di ottenere almeno il risarcimento del danno, nel caso di accoglimento dell’eccezione di usucapione anche il risarcimento è precluso. L’aiutino per la P.A. e per l’erario pubblico si è quindi trasformato in un “aiutone”, pervenendosi tramite l’usucapione ad una sorta di espropriazione senza neanche un indennizzo.

E’ stato merito di una recentissima e coraggiosa sentenza della Sez. IV del Consiglio di Stato (Pres. Virgilio, Est. Taormina) del 3 luglio 2014 – pubblicata in questa rivista – raffreddare gli entusiasmi di certa giurisprudenza che si era gettata a capofitto sulla usucapione quale strumento per risolvere facilmente i problemi delle P.A. che hanno illecitamente occupato ed irreversibilmente trasformato un terreno privato, frustrando irrimediabilmente i diritti (restitutori e/o risarcitori) dei privati che si erano sobbarcati dei costi e dei tempi di decisione di un ricorso avverso gli atti espropriativi.

La Sez. IV ha affermato che: “E’ assai discutibile la teorizzata usucapibilità di beni illecitamente occupati dall’Amministrazione: e ciò sia alla luce dell’ampia nozione di violenza del possesso elaborata dalla giurisprudenza, laddove si è sostenuta la presunzione di volontà contraria del possessore ove manchi la prova di una manifestazione univoca di consenso, quanto soprattutto in relazione alla assai dubbia compatibilità con l’art. 1 del Protocollo Addizionale della CEDU (“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.”). Predicare quindi che l’apprensione materiale del bene da parte dell’Amministrazione al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di un procedimento sanante (art. 42 bis d.P.R. 327 del 2001) possa essere qualificata idonea ad integrare il requisito del possesso utile ai fini dell’acquisto per usucapione, rischierebbe di reintrodurre nell’ordinamento interno forme di espropriazione indiretta o larvata”.

Forse, se la Sez. IV avesse avuto ancor più coraggio, avrebbe potuto affermare, expressis verbis, che l’istituto dell’usucapione, previsto per i privati, è assolutamente inapplicabile ai casi in cui l’occupazione del bene privato sia avvenuta nell’ambito di un procedimento espropriativo (poi annullato o comunque non concluso) della P.A., dato che in tale ipotesi, la P.A. non ha appreso il possesso del bene iure privatorum, ma per effetto di quei poteri di supremazia speciale che le vengono riconosciuti dall’ordinamento.

Appropriato a tal fine appare il richiamo non solo alla nozione di “violenza” nell’immissione in possesso, che esclude generalmente l’usucapione, ma anche ai principi che derivano dall’art. 1 del Protocollo Addizionale della CEDU.

Convince inoltre pienamente il richiamo al paventato rischio della reintroduzione nell’ordinamento interno di forme di espropriazione indiretta o larvata ed alla giurisprudenza comunitaria che tende ad evitare il perpetuarsi di tale fenomeno; questo richiamo, per la verità, non è la prima volta che viene effettuato: v. in precedenza la sentenza del T.A.R. Umbria, Sez. I, 16 gennaio 2014, pubblicata in questa rivista, con commento di G. BAROZZI REGGIANI, Si parla ancora di usucapione pubblica, con una sentenza “fuori dal coro”; v. anche in arg. G.A. PELUSO, L’usucapione pubblica (nota a T.A.R. Sicilia-Palermo, sez. III, sentenza 27 gennaio 2014), in LexItalia.it n. 2/2014.

Acuta appare infine l’osservazione (mai avanzata in precedenza, per quanto consti) circa la necessità in ogni caso di far decorrere il termine ventennale di usucapione dalla data di entrata in vigore del d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, atteso che prima di quest’ultimo d.P.R. non era ammessa la possibilità di ottenere la restituzione del bene illecitamente occupato dalla P.A. nell’ambito di una procedura espropriativa. Il che, tenuto conto che viviamo nell’anno di grazia 2014, equivale ad affermare che per nessuna delle passate occupazioni illegittime, è possibile eccepire la usucapione, per la quale vale in ogni caso il termine ventennale.

L’usucapione viene così ricondotta nel suo alveo naturale, che è poi quello dei rapporti tra privati ed è applicabile anche alla P.A. solo nel caso di mere occupazioni originariamente sine titulo.

Giovanni Virga, 7 luglio 2014.

Print Friendly, PDF & Email

Tags:

Category: Giustizia amministrativa

Commenti (5)

Trackback URL | Comments RSS Feed

  1. Massimo Grisanti ha detto:

    Sono molto perplesso sulla conclusione del commento laddove viene affermato che l’usucapione è applicabile a favore della P.A. in caso di occupazioni usurpative.
    Non riesco a comprendere come ciò possa essere considerato che l’art. 1 della Legge n. 241/1990 ha affermato, e non poteva essere diversamente, che la P.A agisce rispettando i principi dell’ordinamento comunitario (tra cui vi sono quelli della Convenzione EDU) e considerato che ai sensi dell’art. 97 Cost. la P.A. agisce secondo lealtà nei rapporti con il Cittadino.
    Tanto più considerato che in base alla CEDU l’espropriazione a danno dei Cittadini può essere solamente quella prevista dalla Legge (e se anche l’usucapione è prevista dal Codice Civile, l’espropriazione è disciplinata, in via speciale, da legge fin dal 1865 prevedendo che la P.A. agisca con le specifiche procedure espropriative).

  2. Massimo Grisanti ha detto:

    A miglior specificazione delle mie perplessità sopra espresse, faccio rilevare che solamente attraverso la Legge n. 15/2005, introducente il comma 1-bis all’art. 1 della Legge n. 241/1990, è stata riconosciuta la possibilità alle PP.AA. di agire secondo le norme del diritto privato per gli atti di natura non autoritativa.
    Poiché la P.A. agisce per atti formali, e poiché le norme di diritto privato sono state riconosciute valevoli unicamente per atti e non per i comportamenti, ecco che non riesco a scorgere la possibilità, per la P.A., di avvalersi del diritto privato per i comportamenti (ipotesi implicitamente esclusa dal legislatore con il comma 1-bis).

    • Giovanni Virga ha detto:

      Il riconoscimento effettuato formalmente con la legge n. 15 del 2005 – come già rilevato dallo scrivente in sede di primo commento di detta legge – è più apparente che reale, dato che nessuno in precedenza dubitava che anche la P.A., come qualsiasi soggetto giuridico, possedesse anche una capacità di diritto privato e che agisse iure privatorum (esempio scolastico: per la semplice stipula di un contratto di locazione) nel caso in cui non fosse investita di poteri di supremazia speciale.

      D’altra parte la differenza tra occupazioni originariamente “sine titulo” ed occupazioni effettuate nell’ambito di una procedura espropriativa è altrettanto netta, dato che nel primo caso, come qualsiasi altro soggetto giuridico, essa agisce iure privatorum mentre nel secondo agisce in forza dei detti poteri di supremazia speciale. La distinzione si riflette anche sulla giurisdizione, atteso che è pacifica la giurisdizione dell’A.G.O. nel primo caso, proprio in considerazione dell’assenza del potere di supremazia.

      Non comprendo quindi come possa apparire contraddittorio – per le anzidette differenze sostanziali tra le due ipotesi – escludere l’applicabilità dell’usucapione nel secondo caso ed invece ammetterla per il primo caso. Se la P.A. occupa originariamente un terreno senza alcun titolo, non vedo come possa essere negato ad essa, al pari di un qualsiasi privato, la possibilità eventualmente, ricorrendo tutti i requisiti, di far valere l’usucapione per possesso ultraventennale.

      • Massimo Grisanti ha detto:

        Il Consiglio di Stato è tornato, in modo molto preciso ed esaustivo, sull’argomento dell’inapplicabilità dell’istituto dell’usucapione da parte della PA quando agisce iure imperii.
        E non vi è dubbio alcuno che l’apprensione di un bene privato alla mano pubblica per realizzare un’opera per la quale la legge prescrive l’esperimento delle procedure espropriative (omesse) ricada nella questione portata all’esame del supremo consesso amministrativo.
        Gli argomenti contenuti nella sentenza n. 3988/2015 pubblicata su Lexitalia sono stati trattati ed approfonditi nella sentenza n. 4096 del 1° settembre 2015 che ancora non vedo segnalata sul sito.
        Il Consiglio di Stato ribadisce che quando la PA agisce iure imperii non può invocare l’usucapione.

  3. Alessandro Pagano ha detto:

    L’unico punto discutibile di questa ottima pronuncia è quello in cui è genericamente affermato che precedentemente all’entrata in vigore del DPR n. 327/2001 non era consentito rivendicare la restituzione della proprietà. Non mi sembra del tutto esatto.

    Nelle ipotesi di occupazione usurpativa, quindi di occupazioni pur sempre originate da un procedimento espropriativo ma nelle quali la dichiarazione di p.u. fosse stata annullata o fosse invalida ab origine (ad esempio per mancanza o mancato rispetto del termine di compimento dei lavori ex art. 13, l. 2359/1865) la restituzione del bene, in base ai principi generali in materia di tutela della proprietà, era teoricamente ammissibile poiché si riteneva che solo una esistente e valida dichiarazione di p.u. consentisse la operatività della accessione invertita, distinta anche nominalmente dalla prima ipotesi (occupazione appropriativa).

    Direi quindi che l’usucapione dovrebbe potersi ipotizzare solo nei casi (che mi paiono residuali) in cui l’Amministrazione agisca sin dall’origine iure privatorum senza adottare alcun provvedimento di tipo ablativo o comunque autoritativo.

    Cordiali saluti e grazie dei commenti sempre acuti, puntuali ed interessanti.

Inserisci un commento