La lobby delle consulenze e gli omissis del collegato alla finanziaria 2008
Per esprimere un appropriato giudizio sul recente decreto legge collegato alla legge finanziaria 2008 (una legge significativamente qualificata come “di mera sopravvivenza” in un articolo di fondo del Prof. Mario Monti pubblicato nella prima pagina del Corriere della Sera di oggi), forse occorre esaminare quello che non c’è nel decreto stesso.
Mi riferisco non solo e non tanto ai molti problemi (dal welfare, alle pensioni, allo sviluppo del sud) che avrebbero dovuto essere affrontati ma che, per motivi di sopravvivenza politica, non sono stati nemmeno alla lontana toccati, ma anche alle questioni che, pur trovando nella bozza del decreto apposita disciplina, sono state inspiegabilmente accantonate (rectius: sono state brutalmente “depennate”) al momento dell’approvazione del decreto stesso da parte del Consiglio dei Ministri nella notte del 28 settembre scorso.
In particolare, come risulta da un articolo di Sergio Rizzo, pubblicato sempre nel Corriere della Sera di oggi (a pag. 6), intitolato “Consulenze di Stato – Lo schiaffo alla Corte dei Conti“, nella bozza del decreto legge sottoposto all’esame del recente Consiglio dei Ministri vi erano 12 commi suddivisi in tre articoli, i quali cercavano di dare una disciplina ad una materia (qual è quella delle consulenze esterne alla P.A.) che, come risulta dal fortunato libro “La casta” di Stella e Rizzo, finisce per incidere non poco sugli esorbitanti costi della politica.
E’ infatti proprio il settore delle consulenze che, da tempo, costituisce una fonte di abusi e sprechi.
Un esempio per tutti: come si è appreso attraverso un recente articolo di Marco Travaglio pubblicato nel quotidiano L’Unità, il figlio del ministro della giustizia, dott. Pellegrino Mastella, è stato nominato, appena trentunenne, consulente giuridico del Ministero delle Attività produttive
Non si conoscono tuttavia le particolari qualità che giustificano la nomina del giovane consulente ministeriale.
Scrive al riguardo Travaglio: “Dopo aver sistemato la sua signora alla presidenza del consiglio regionale campano e il cognato in Parlamento, Mastella s’è visto assumere il figlio Pellegrino, principe del foro di Ceppaloni, come consulente giuridico del ministero delle Attività Produttive. Tutto ciò gli pare «sobrio»?“.
Com’è noto la Corte dei Conti è più volte intervenuta per cercare di porre un freno al dilagante fenomeno delle consulenze, che finiscono inevitabilmente per premiare persone che quasi sempre sono legate a doppio filo al referente politico di turno.
V. ad es. da ultimo la relazione del 1° febbraio 2007 del Procuratore Generale della Corte dei Conti DE ROSE (pubblicata in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/articoli/derose_2007.htm), nella quale, pur rilevandosi “la decrescita del dato relativo alle citazioni per consulenze esterne – 24 nel 2006 rispetto a 49 nel 2005“, si avverte che tale decrescita “non è di per se rappresentativa di una diminuzione del fenomeno e dei suoi profili patologici“: ma v. anche la relazione del Presidente della Corte dei Conti STADERINI, sempre del 1° febbraio c.a., pubblicata a pag. http://www.lexitalia.it/articoli/staderini_2007.htm nella quale si legge che “tra le questioni più rilevanti esaminate nell’anno dalle sezioni regionali segnalo – oltre alle problematiche attinenti al patto di stabilità – quelle relative alla gestione delle entrate derivanti dai permessi di costruzione, al conferimento di incarichi per studi, ricerche e consulenze, alla partecipazione di comuni a società di capitali costituite per la gestione di servizi pubblici“.
Se si rileggono le relazioni annuali dei presidenti della Corte dei Conti degli ultimi sette anni si può rilevare che in tutte si parla del “grave fenomeno delle consulenze esterne”, che spesso sono utilizzate, se non per sistemare qualche famulo, almeno per premiare portaborse e galoppini elettorali.
Famoso è il caso delle consulenze esterne conferite dall’allora Sindaco di Roma Rutelli a persone risultate spesso prive di alcuna specifica competenza e che ha dato luogo all’emissione di una sentenza di condanna della Corte dei Conti, Sez. reg. Lazio (25 settembre 2000, n. 1545, pubblicata in questa Rivista, alla pag. http://www.lexitalia.it/corte/ccontilazio_2000-1545.htm, confermata in parte da due sentenze della Sez. II Giurisdizionale Centrale (sentenza 22 aprile 2002, n. 137, pag. http://www.lexitalia.it/corte/cconti2_2002-04-22.htm e sentenza 22 aprile 2002, n. 136, pag. http://www.lexitalia.it/corte/cconti2_2002-04-22.htm).
Il diffondersi di episodi di malcostume legati all’attribuzione di lauti incarichi a consulenti esterni e la forte incidenza che essi finivano per avere sull’erario pubblico hanno indotto, com’è noto, il legislatore ad intervenire, con disposizioni tuttavia molto blande e vaghe.
In particolare, nella scorsa legislatura, con l’art. 1, comma 11, della legge finanziaria 2005 (L. 30 dicembre 2004, n. 311) è stato stabilito che: “la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all’amministrazione sostenuta per ciascuno degli anni 2005, 2006 e 2007 dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, esclusi le università, gli enti di ricerca e gli organismi equiparati, non deve essere superiore a quella sostenuta nell’anno 2004“. Con lo stesso comma è stato previsto che “l’affidamento di incarichi di studio o di ricerca, ovvero di consulenze a soggetti estranei all’amministrazione in materie e per oggetti rientranti nelle competenze della struttura burocratica dell’ente, deve essere adeguatamente motivato ed è possibile soltanto nei casi previsti dalla legge ovvero nell’ipotesi di eventi straordinari. In ogni caso, l’atto di affidamento di incarichi e consulenze di cui al secondo periodo deve essere trasmesso alla Corte dei conti. L’affidamento di incarichi in assenza dei presupposti di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale“. Analoghe sono previsioni contenute nel comma 42 della stessa legge per gli enti locali.
A seguito di tali disposizioni, sono intervenute le Sez. Riunite di controllo della Corte dei Conti, le quali, con delibera 15 febbraio 2005 n. 6 (in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/corte/ccontisrcontr_2005-02-15.htm), hanno fissato le “Linee di indirizzo e criteri interpretativi sulle disposizioni della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (finanziaria 2005) in materia di affidamento d’incarichi di studio o di ricerca ovvero di consulenza (art. 1, commi 11 e 42)”.
Nonostante tutto ciò, sono continuati i fenomeni di abuso, sui quali sono intervenute spesso e volentieri le Sezioni giurisdizionali della Corte (v. ad es. Corte dei conti, Sez. giur. Regione Abruzzo, sentenza 28 ottobre 2004 n. 750, in questa Rivista pag. http://www.lexitalia.it/p/corte/ccontiabruzzo_2004-10-28.htm, secondo cui “non è consentito ad un Comune dare corso a forme di collaborazione esterna, che, per il loro oggetto indeterminato e per la loro durata, tendono a realizzare una forma di attività di carattere continuativo e sostitutiva di quella demandata al personale assunto a seguito di una pubblica selezione. Il ricorso ad una attività di consulenza deve essere del tutto eccezionale e temporaneo, altrimenti ha l’effetto di demotivare e svilire il personale che è entrato a far parte dell’organico dell’ente stesso, a seguito di un concorso o di equivalente selezione aperta a tutti; il ricorso a una struttura esterna per lo svolgimento non occasionale di attività che devono essere svolte dal personale dell’ente suscita, nella comunità amministrata, l’impressione (se non il sospetto) che si sia voluto in questo modo favorire questo o quel consulente esterno”; v. anche Corte dei Conti, Sezione Abruzzo, sentenza 14 settembre 2004, n. 679 pag. http://www.lexitalia.it/p/corte/ccontiabruzzo_2004-09-14.htm che ha affermato la responsabilità degli amministratori di un ente locale per il conferimento di consulenze esterne a uno studio legale per lo svolgimento di pratiche amministrative).
La lobby delle consulenze tuttavia non è rimasta inerte: ha tentato in primo luogo di sostenere che l’attribuzione delle consulenze esterne sarebbe insindacabile dalla Corte dei Conti, rientrando nell’ambito discrezionale della P.A. stabilire in via fiduciaria di quale consulente avvalersi.
Una tesi questa che, tuttavia, è stata disattesa dalle Sez. Unite della Cassazione, le quali, con sentenza 25 gennaio 2006 n. 1378, pubblicata in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/p/61/casssu_2996-01-25.htm hanno avuto modo di affermare che “è legittima la sentenza della Corte dei Conti che ha condannato alcuni amministratori e funzionari pubblici (nella specie, il Sindaco di Roma, gli assessori pro tempore ed alcuni funzionari comunali, che avevano espresso i pareri di regolarità tecnico-amministrativa e legittimità dei provvedimenti adottati) per aver contribuito a conferire e rinnovare incarichi a personale esterno all’Amministrazione, chiamato a far parte dei cosiddetti uffici di staff del Sindaco, della Giunta e dei singoli Assessori. Con tale sentenza, infatti, il giudice contabile non ha ecceduto dal suo potere giurisdizionale, in quanto si è limitato a valutare se i mezzi, liberamente scelti dal Sindaco e dagli Assessori, fossero adeguati oppure esorbitanti ed estranei al fine pubblico da perseguire, quest’ultimo identificabile nel potere-dovere di conferire incarichi o consulenze nel rispetto delle condizioni stabilite dalla legge (ed anche da disposizioni regolamentari interne del Comune) e tenendo conto delle risorse di personale comunque a disposizione, nel senso che si sarebbe potuto ricorrere alla collaborazione di estranei all’amministrazione solo nel caso di inadeguatezza del personale in servizio”. Insomma, per le consulenze non sussiste alcuna “riserva di amministrazione”, sottratta al sindacato sia preventivo che successivo della Corte di Conti.
La lobby delle consulenze esterne è intervenuta anche, come si è appreso attraverso il già citato articolo di Rizzo, qualche giorno addietro, facendo eliminare dal decreto legge collegato alla Finanziaria 2008 ben 12 commi suddivisi in 3 articoli che regolamentavano il conferimento delle consulenze, prevedendo in particolare che:
1) tutti gli incarichi e consulenze esterne avrebbero dovuto essere sottoposti al visto preventivo della Corte dei Conti;
2) nel caso di conferimento di consulenze od incarichi non vistati dalla Corte dei conti sarebbe stato vietato in ogni caso il pagamento dei corrispettivi convenuti, con automatica responsabilità erariale di coloro che li avevano disposti;
3) tutte le amministrazioni sarebbero state obbligate a pubblicare nei loro siti internet il nominativo dei consulenti, i corrispettivi convenuti e l’oggetto dell’incarico, prevedendosi in mancanza l’azione disciplinare nei confronti del dirigente preposto;
4) sarebbe stato fatto divieto agli enti locali di conferire consulenze od incarichi non previsti da apposito programma.
Erano inoltre presenti norme per potenziare i poteri di vigilanza e controllo della Corte dei Conti, prevedendosi la trasmissione alle Sezioni di controllo degli atti degli organi di vigilanza degli enti pubblici economici trasformati in società a prevalente capitale pubblico e la competenza delle sezioni riunite nel caso di ricusazione del visto.
Di tutte queste norme non vi è più traccia nemmeno nella bozza del decreto legge che è stata fatta circolare. Le ragioni dell’eliminazione non sono note.
E’ certo tuttavia che la riduzione degli esorbitanti costi della politica non si effettua con semplici operazioni di maquillage (come ad es. il blocco temporaneo degli adeguamenti delle indennità parlamentari disposto alla Camera dei deputati, ma non al Senato), ma incidendo profondamente sui centri incontrollati di spesa; tra questi vi è anche quello dei costi della consulenze esterne, conferite in ordine sparso non solo dagli enti locali e dalle Regioni, ma anche dai Ministeri (per ulteriori notizie sulle consulenze ministeriali v. comunque l’articolo de Il Sole 24 Ore del 10 agosto 2007)
Nei manuali di diritto amministrativo solitamente si legge che il Consiglio di Stato (nel suo complesso) è anche organo di consulenza giuridico-amministrativa dell’amministrazione centrale: ed allora com’è che in tanti curricula di Consiglieri di Stato pubblicati nel web figura, fra l’altro (oltre alla conduzione di lucrosi corsi di aggiornamento per aspiranti magistrati, avvocati e notai, di ben retribuite collaborazioni a riviste e pubblicazioni, di partecipazione ad arbitrati, ecc.) anche l’incarico di consulente giuridico di uno dei tanti Ministeri?
G.V., 30 settembre 2007.
Category: Amministrazione pubblica
Non si può che condividere l’intervento del Prof. Giovanni Virga. La realtà è che delle consulenze, individuate quali uno tra i tipici “costi della politica”, si parla molto, ma provvedimenti efficaci per metterle sotto controllo non se ne adottano. Del resto, ben due ministri, come nota il Prof. Virga, dell’attuale Governo sono stati condannati dalla Corte dei conti, proprio per le modalità piuttosto disinvolte di assegnare consulenze, quand’erano sindaco ed assessore del comune di Roma. L’atteggiamento, dunque, del Governo non pare concretamente teso a ridimensionare il fenomeno, se consente anche a qualche parente (sempre ministerialo o comunque della “casta”) di beneficiarne.
Non è solo l’omissione, nel decreto collegato alla finanziaria, di seri vincoli all’attribuzione delle consulenze il segnale che il sistema di potere intenda continuare ad imperversare nell’imporre figure esterne o interne strettamente appartenenti ad un entourage fiduciario.
Nello schema di legge finanziaria, si nota la previsione di impedire tutte le forme flessibili di assunzioe alle dipendenze della pubblica amministrazione. Tutte? Non proprio. Nonostante, secondo l’attuale “vento” i contratti a tempo determinato siano sciagurata fonte di odioso precariato, eccezioni all’estesissimo divieto di attivare contratti flessibili sono gli incarichi negli uffici di staff degli organi di governo di ministeri ed enti locali, nonchè gli incarichi “a contratto” dirigenziali.
Insomma, per lo “staff” o per i “dirigenti di fiducia”, il tempo determinato va bene. Anche perchè, molti di questi incaricati di staff o nei posti dirigenziali fiduciari spesso un lavoro già ce l’hanno. Altrettanto spesso, per loro, l’assegnazione degli incarichi in argomento consiste in una rilevantissima – sia pure temporanea – progressione di carriera, dal momento che della speciale e particolare competenza richiesta dall’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001 per l’assegnazione di incarichi a contratto molto sovente non si trova traccia. D’altra parte, recenti riforme consentono espressamente nelle amministrazioni statali di incaricare come dirigenti personale privo della qualifica dirigenziale appartenente alla medesima amministrazione conferente; la contrattazione collettiva del comparto regioni-enti locali dell’area dirigenziale intenderebbe, con norma contrattuale per altro nulla, estendere il medesimo principio anche a comuni, province e regioni. Il risultato è che la norma viene letta nel senso che basti essere dipenenti dell’ente, per poter beneficiare dell’incarico dirigenziale, senza che le specieiche competenze richieste dalla legge vengano prese in particolare considerazione, ai fini del conferimento.
Di fatto, laddove si annida la possibilità di incidere sull’organizzazione, mediente incarichi dirigenziali, o su decisioni generali di carattere amministrativo, ma delicate anche politiciamente, si salvaguarda quello che la Corte dei conti definisce “l’apparato parallelo”. Le consulenze, nonostante gli annunci solenni di limitarle, restano liberamente attivabili, sia pure nel rispetto dei presupposti fissati dalla legge. Gli incarichi negli staff e dirigenziali a contratto sfuggono ai divieti al tempo parziale. La “fiducia è una cosa seria”, sicchè alla preposizione a progetti o strutture amministrative di persone di fiducia non si rinuncia. E se la Corte costituzionale con le sentenze 103/2007 e 104/2007 a chiare lettere ha ritenuto il sistema fiduciario negativamente incidente sull’assetto costituzionale dell’organizzazione amministrativa, pazienza.
Due-tre anni fa, schemi iniziali di leggi finanziarie o emendamenti alle stesse provarono ad effettuare la “stabilizzazione ante litteram” proprio di dirigenti a contratto e, in qualche misura, anche di consulenti di lunga data. Non se ne fece nulla. Ma, probabilmente si tratta di fuoco che arde sotto la cenere. L’ulteriore passo della stabilizzazione di consulenti, operatori in staff e dirigenti a contratto, per assicurare agli organi politici il “governo degli uomini”, visto che la competenza gestionale è passata all’apparato amministrativo (come la dottrina favorevole allo spoil system annota), rimane sempre dietro l’angolo, tra gli “omissis” di ogni manovra finanziaria.
Come in tutte le crociate, il rischio che corrriamo è quello di gettare il bambino con l’acqua sporca. Non è prudente trasformare la critica all’abuso dello strumento della consulenza nella sua negazione.
E’ noto a chiunque abbia avuto la ventura di penetrare i meccanismi reconditi della pubblica Ammnistrazione quanto sia vecchio ed inefficiente l’apparato tradizionale. Nell’Italia meridionale, poi, il fenomeno è aggravato dalla sedimentazione di inveterati fenomeni di malcostume.
E’ altrettanto noto che la rigidità del rapporto di lavoro pubblico, per nulla scalfita, di fatto, dalla sua privatizzazione, impedisce ad un amministratore accorto la depurazione degli organici dai soggetti inefficienti, inaffidabili ovvero indisponibili ad aggiornarsi. Posta l’immutata ed immutabile intangibilità dei “travet” (provate a licenziare un dipendente pubblico e poi vedete cosa dice il Giudice del lavoro di turno!!!), l’unica via per dotarsi di una struttura congrua con gli obiettivi qualitativi di un Amministrazione (magari neo-eletta sull’onda di forte tensione al radicale cambiamento) resta quella di blindare un pool di professionisti (s’intende qualificati!) partecipi della mission aziendale.
In questi casi le consulenze sono una vera e propria panacea.
Non credo che la Corte dei Conti possieda la sensibilità necessaria per distinguere, al cospetto di dinamiche come quella descritta, il grano dall’oglio.
Ed alllora, la revisione critica dell’istituto della consullenza va utilmente inserita in una più ampia analisi sui rimedi da adottare per la sclerosi dell’Ammnistrazione pubblica e…per la protezione sindacale dei fannulloni.
Sto sul generale. Leggi scritte da altri che non siano parlamentari non mi piacciono. Veline, sia pure di autorevoli magistrati, meno ancora. E nel caso dei tre articoletti cassati, dall’articolo di Rizzo traspariva fossero una, autorevolissima, velina. Meglio sia andata com’è andata.
La rigidità del rapporto di lavoro pubblico, è vero, non è stata scalfita dalla sua privatizzazione. Questo perchè non c’è stata privatizzazione, ma, semmai, contrattualizzazione del rapporto di lavoro, ferme restando peculiarità proprie derivanti dalla dipendenza da amministrazioni pubbliche e dagli articoli 97 e 98 della Costituzione.
Ora, fino a eliminazione – che nessuno impedisce o riterrebbe delittuosa – delle citate disposizioni della Costituzione, è proprio la Costituzione ad impeduire agli amministratori “accorti” “la depurazione degli organici dai soggetti inefficienti, inaffidabili ovvero indisponibili ad aggiornarsi”.
Tale depurazione, in effetti, non sempre, anzi leggendo le cronache, quasi mai, appare finalizzata ad eliminare le inefficienze, che sicuramente esistono, ma appunto a dotare gli organi di governo della citata “struttura congrua con gli obiettivi qualitativi di un Amministrazione (magari neo-eletta sull’onda di forte tensione al radicale cambiamento)”. Tradotta in altro modo la perifrasi, significa che le amministrazioni vorrebbero fortemente quello spoil system, che invece la Consulta ha ritenuto incostituzionale, utile ad andare al governo mettendo alla direzione delle strutture amministrative uomini “congrui”, cioè appartenenti all’apparato. I problemi di efficienza ed efficacia, sono soltanto uno sfondo. Considerando che troppo spesso i “consulenti-panacea” non dispongono nemmeno della qualifica professionale superiore a quella dei dipendenti nei confronti dei quali dovrebbero operare la consulenza.
Per non dire, poi, che i consulenti non potrebbero – anche se nella realtà lo fanno – sostituirsi ai dipendenti nella direzione concreta delle strutture amministrative, perchè mancherebbe in capo a loro il rapporto “organico” con l’ente, scaturente solo dal contratto di lavoro subordinato.
I pool di professionisti partecipi della mission aziendale sono elemento tipico di aziende private, che gestiscono come credono la governance e le proprie risorse.
Nella pubblica amministrazione, così stando la Costituzione, le cose vanno diversamente, e l’utilizzo di consulenze per aggirare i vincoli può essere una giustificata presa di posizione di “denuncia” contro i tanti inefficienti “travet”. Purtroppo, però, rimane oltre i confini dell’attuale assetto ordinamentale. Lo si cambi, ma si abbia il coraggio di fare apertamente quella vera “privatizzazione” che molti vorrebbero, cioè la soggezione delle funzioni degli apparati amministrativi agli interessi privati o, quanto meno, di parte, di chi attualmente governa.
Ci accomuna la diagnosi infausta sullo stato di salute della pubblica Ammnistrazione. Ci divide l’approccio terapeutico.
Tra i due mali, quello di uno spoil sistem spinto e quello di una burocrazia (ormai genralemente inaffidabile) sottratta alla soggezione dagli “eletti” preferisco il primo rimedio, in quanto nel primo caso al cittadino “spettatore” è consentito punire, con il libero voto, quelle Amministrazioni che abusino dell’opportunità di irrobustire con (relativa) libertà l’apparato tradizionale.
In realtà l’arma dello spoil sistem, messa nelle mani sbagliata è assai perniciosa, persino più di quanto non lo sia una burocrazia vecchia e sclerotizzata.
Quel che davvero non può revocarsi in dubbio è che non si risolve un bel nulla privando le Amministrazioni della possibilità di mitigare le inefficienze dell’apparato, a costituzione invariata, con l’immissione di forze fresche, anche con il ricorso alle tanto vituperate consulenze.
Ed in ogni caso è difficile negare come non vi sia più tempo, in questo Paese che afferma di appartenere all’ Europa, per consentire che superati principi costituzionali impediscano una complessiva, equilibrata, radicale ed efficace riforma dell’Amministrazione pubblica.
Mi limito ad osservare che la Costituzione non può essere superata dalla prassi ed a constatare che per un verso non è possibile affermare che l’intero apparato pubblico sia composto da soggetti inefficiento, come simmetricamente dirigenti a contratto o consulenti non necessariamente dispongono delle qualità necessarie.
Sono ormai molti anni che lavoro nella P.A. e debbo dire, senza tema di smentita, che negli organici ci sono quasi sempre fior di dirigenti.
Nella stragrande maggioranza dei casi sono persone preparate, responsabili e affidabili.
Non sono certo asserviti al politico di turno, come invece lo sono parecchi dei c.d. esperti, assai spesso incaricati senza alcun merito particolare se non quello della “fedeltà” politica.
Uno spoil system spinto, a parte l’evidente contrasto con il dettato costituzionale, sarebbe una vera iattura perchè finalizzato a soddisfare solo una certa volontà politica, che sempre più spesso perde di vista l’interesse generale.
Ho letto e apprezzato le osservazioni del dott. Arezzo Di Trifiletti riportate sull’art. 14 del D.L. del 1 ottobre 2007 n. 159 “servizi aggiuntivi e beni culturali” e aggiungo altre mie riflessioni lavorando in una P.A. da anni.
Mi chiedo e chiedo” perchè il legislatore non ha esteso il contenuto della norma anche agli Enti locali? Il processo di decentramento e le riforme degli ultimi anni hanno comportato il trasferimento di tante competenze e funzioni in capo ai Comuni ai quali non vengono trasferite altrettanto e adeguate risorse umane.
Il rispetto del patto di stabilità,le carenze di personale rispetto all’incremento di lavoro, il ritardato trasferimento dei finanziamenti dalle Regioni ai Comuni, comporta spesso notevoli difficoltà nell’avvio delle procedure di gara nei termini, pur tuttavia i Comuni non soltanto non possono beneficiare del rinnovo, ma non possono fuire di questo privilegio concesso al Ministero per i beni e per le attività culturali.
L’art. 14 suscita molte perplessità e presenta tante criticità e non soltanto perchè in contrasto con il Codice degli appalti e con la normativa europea che vieta i rinnovi taciti di qualsivolgia natura, ma perchè assolutamente discriminatorio dal punto di vista giuridico amministrativo.