Il falso funerale delle Province ed i limiti invalicabili della “spending review”

di | 31 Agosto 2015 | 3 commenti Leggi

Quando sento parlare dell’abolizione delle Province, mi sovviene alla mente (chiedo venia per l’accenno ad una triste cerimonia che ci auguriamo avvenga il più tardi possibile per noi e per i nostri cari, ma di cui, tuttavia, si è molto parlato  negli ultimi tempi per l’affare “Casamonica”) il caso dei falsi funerali che vengono ogni tanto inscenati da qualche buontempone, per verificare chi sono coloro che compongono il corteo funebre.

Più precisamente mi sovviene alla mente il caso in cui un buontempone non si è limitato ad inscenare un falso decesso ed altrettanto falso funerale, ma si è spinto addirittura al punto, con la complicità di un legale suo amico, di assistere di nascosto anche alla lettura di un falso testamento, per verificare le facce che avrebbero fatto gli aspiranti eredi durante la sua lettura, atteso che le disposizioni testamentarie non corrispondevano alle prevedibili aspettative degli astanti.

La stessa espressione tra il sorpreso e l’arrabbiato avranno probabilmente assunto i nostri governanti ed in special modo quelli della Regione Piemonte nonché il Ministro Delrio, allorchè avranno letto la recente sentenza della Corte Costituzionale 24 luglio 2015 n. 188 (pubblicata in questa Rivista) che ha dichiarato illegittime alcune norme della Regione Piemonte le quali, in sede di bilancio di previsione, hanno previsto una notevole riduzione – del 50% rispetto all’anno precedente – degli stanziamenti destinati alle Province, pregiudicando lo svolgimento delle relative funzioni, che sono rimaste invariate, nell’assunto (non espresso) che le Province siano ormai quasi defunte.

In questo caso, addirittura, non si è nemmeno aspettato il finto funerale (celebrato con la cd. legge Delrio) per spartirsi l’eredità.

La Corte ha rilevato infatti, rovinando così i sogni e le aspettative degli aspiranti eredi, che il principio di buon andamento (che dovrebbe essere la stella polare della buona amministrazione) implica, da un lato, che le risorse stanziate siano idonee ad assicurare la copertura della spesa, a cominciare da quella relativa al personale dell’amministrazione e, dall’altro, che dette risorse siano spese proficuamente in relazione agli obiettivi correttamente delineati già in sede di approvazione del bilancio di previsione.

Nella specie la Regione Piemonte, nell’approvare il bilancio di previsione 2013 e quello pluriennale per gli anni finanziari 2013-2015, ha previsto una notevole riduzione degli stanziamenti a favore delle Province per le funzioni loro conferite e delegate (una riduzione pari a circa il cinquanta per cento delle risorse stanziate per il 2012 e del sessantasette per cento rispetto al biennio anteriore) senza che le funzioni svolte dalle stesse risultino ridimensionate in misura proporzionata alla drastica riduzione.

Ha osservato la Corte che dette norme della Regione Piemonte collidono con il principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost. che, nel caso in questione, costituisce uno sviluppo del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.

Infatti, una dotazione finanziaria così radicalmente ridotta, non accompagnata da proposte di riorganizzazione dei servizi o da eventuale riallocazione delle funzioni a suo tempo trasferite, comporta  una lesione del principio in considerazione. Ciò proprio in ragione del fatto che a determinarla non è la riduzione delle risorse in sé, bensì la sua irragionevole percentuale, in assenza di correlate misure che ne possano giustificare il dimensionamento attraverso il recupero di efficienza o una riallocazione di parte delle funzioni a suo tempo conferite.

Nel caso in questione la apoditticità della riduzione – secondo la Consulta – è assoluta, essendosi manifestata attraverso un mero stanziamento di bilancio, ridotto delle percentuali evidenziate rispetto alla somma erogata negli esercizi anteriori. Risorse così drasticamente ridotte, se non garantiscono, nel caso della Provincia di Alessandria, neppure il pagamento delle retribuzioni del personale a suo tempo trasferito, sono comunque destinate ad una cattiva utilizzazione in ragione dell’insufficiente o del tutto mancante finalizzazione ad obiettivi predeterminati e credibili. Solo in presenza di un ragionevole progetto di impiego è possibile realizzare una corretta ripartizione delle risorse tra le Province e garantire il buon andamento dei servizi con esse finanziati.

In particolare, secondo la Corte, appare evidente che una riduzione del cinquanta per cento rispetto all’anno precedente e del sessantasette per cento rispetto al biennio anteriore, ad invarianza di funzioni e senza un progetto di riorganizzazione, si pone in contrasto con i più elementari canoni della ragionevolezza. Per quel che riguarda più specificamente il contesto della pubblica amministrazione, ogni stanziamento di risorse deve essere accompagnato da scopi appropriati e proporzionati alla sua misura.

Il principio affermato dalla Corte, pur essendo quasi lapalissiano (in estrema sintesi: non è possibile ridurre in misura notevole gli stanziamenti, lasciando inalterate le funzioni assegnate ed il personale addetto), assume una grande rilevanza in un momento nel quale, alla caccia disperata di risorse per far fronte alle ripetute promesse del nostro Premier Renzi di ridurre il carico fiscale, si fa riferimento a tal fine ad operazioni non meglio precisate di tagli della spesa pubblica (cd. “spending review”).

Effettivi risparmi di spesa possono ottenersi solo nel caso in cui determinate funzioni e relativo personale addetto vengano eliminati, non certo operando delle riforme che finiscono, pur promettendo di eliminare enti asseritamente inutili (nella specie, le Province), per lasciare inalterate funzioni e personale.

Emblematico è anche il caso della riforma “epocale” del Senato della Repubblica. La riforma costituzionale, ammesso che passi in seconda lettura, non comporterà affatto grandi risparmi, dato che gli apparati burocratici addetti non verranno eliminati.

In realtà con il falso funerale delle Province si è voluto colpire, come spesso avviene di questi tempi, un falso bersaglio, dato che l’eliminazione delle Province – ammesso che essa venga portata avanti – non comporterà grandi risparmi di spesa, atteso che le funzioni (pensiamo ad es. alla manutenzione delle strade provinciali) dovranno essere svolte dalla Regione e che il personale trasferito mediante mobilità dovrà essere pur sempre pagato.

In realtà occorreva avere coraggio e colpire i reali centri incontrolati di spesa e cioè le Regioni, abolendo la parcellizzazione campanilistica in atto esistente e creando tre macro-Regioni (del Nord, del Centro e del Sud) che sarebbero perfettamente in grado di espletare le attuali funzioni assegnate, ma con minori costi (si pensi all’abolizione di tutti i Consigli regionali in atto esistenti, veri e propri centri di spesa incontrollata che ormai, ad ogni piè sospinto, bussano a soldi per coprire le voragini finanziarie esistenti) e con l’unificazione dei centri di spesa. Spesso si sente dire: occorre meno Stato. In realtà occorrerebbe affermare: occorrono meno Regioni.

Questa sì che sarebbe una riforma epocale. Ma, trattandosi di una riforma vera, che colpisce vari interessi e relative clientele, non se ne farà niente.

Rimane comunque la linea invalicabile tracciata dal Giudice delle leggi: non è possibile operare delle ingenti riduzioni di spesa per gli Enti locali, senza una adeguata e proporzionale riduzione delle funzioni e del personale. Il che complica un po’ il lavoro dei prestigiatori che in atto ci governano, i quali spacciano per avvenute quelle che sono mere speranze.

Giovanni Virga, 31 agosto 2015.

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Category: Amministrazione pubblica

Commenti (3)

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  1. Lino Bellagamba ha detto:

    Tutto condiviso. Complimenti, veramente!

  2. Enzo Di Sciascio ha detto:

    “Tu vuoi ch’io rinnovelli disperato dolor che in cor mi preme” potrei dire a commento della sentenza della Corte costituzionale qui menzionata.

    Negli ultimi mesi di servizio prima della pensione mi è toccato esaminare, al TAR Friuli – Venezia Giulia il ricorso del Presidente uscente della Provincia di Pordenone contro l’elezione del Consiglio provinciale, che doveva avvenire non con elezione a suffragio universale diretto ma con nomina da parte dei componenti dei Consigli comunali della Provincia, come da nuova legge regionale.

    Sembrandomi a prima vista il ricorso fondato ed essendo solo al TAR in periodo di vacanze ho provvisoriamente accolto la domanda con decreto, fissando la nuova udienza. La Regione FVG ha ricorso al Consiglio di Stato, che ha ritenuto di portare la questione in sede collegiale dove (Pres. di Sez. Pajno, relatore Caringella) ha respinto la domanda cautelare.

    La causa è tornata al TAR per il merito ed esso, con ordinanza, ha ritenuto di investire del problema la Corte costituzionale.

    Analogo rinvio al giudice delle leggi è stato fatto direttamente da cinque Regioni. Tutti i ricorsi sono stati respinti, meno quello relativo al Friuli – Venezia Giulia, che è stato dichiarato inammissibile, perché, in sostanza, incomprensibile.

    Questa motivazione non mi è, comprensibilmente, affatto piaciuta, soprattutto perché il membro dellla Corte incaricato della relazione ha illustrato senza problemi le argomentazioni del TAR, mostrando di averle comprese.

    Eppure il TAR, nell’ordinanza, aveva citato due risalenti precedenti della stessa Corte, che stabiliva che è tipico di Comuni, Province e Regioni l’elezione degli organi a suffragio universale diretto. Ma tant’è…

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