La margherita (con cinque petali) di Renzi e la nomina del nuovo Presidente del Consiglio di Stato

di | 20 Dicembre 2015 | 11 commenti Leggi

Il titolo del presente intervento evoca un’immagine romantica, quasi bucolica, a tutti noi cara: quella dell’innamorato che, sfogliando una margherita, recita, sospirando, la frase alternativa “m’ama o non m’ama”, cercando nei petali della margherita una risposta al suo dubbio amletico. In realtà, nel caso in questione, l’immagine romantica viene utilizzata per descrivere una episodio molto più prosaico, che, come dirò meglio in seguito, costituisce anche un pericoloso precedente.

Mi riferisco al fatto che sembrerebbe che il Premier Renzi, dopo le anticipate dimissioni del Pres. Giovannini, per procedere alla nomina del nuovo Presidente del Consiglio di Stato, abbia chiesto al Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa una “margherita” di cinque nomi papabili, tra i quali (forse recitando sempre l’interrogativo del “m’ama o non m’ama”) si è riservato di scegliere un Presidente del Consiglio di Stato a lui gradito.

Vero è che l’attuale normativa riserva al Presidente della Repubblica, sulla base di una deliberazione del Consiglio dei Ministri e sentito il Consiglio di Presidenza, la nomina del Presidente del Consiglio di Stato, ma sulla base della prassi e, soprattutto, in base al principio di separazione dei poteri che risale a diversi secoli addietro, la nomina è sempre avvenuta sulla base della proposta univoca del Consiglio di Presidenza, organo di autogoverno della magistratura amministrativa.

Sembrerebbe invece che Renzi voglia innovare tale prassi, riservandosi la facoltà di scegliere, tra i cinque “petali” proposti, quello che a lui più piace.

C’è da chiedersi quanto tutto ciò sia rispettoso dell’autonomia che la nostra Carta costituzionale ancora garantisce alla magistratura.Esiste infatti il pericolo che realizzi in tal modo, sia pure in maniera limitata, una specie di “spoils system” mascherato anche per ciò che concerne i vertici della Magistratura.

Come già scritto in precedenza, ho l’impressione che sotto l’egida di Renzi non solo si cambi sotto gli occhi di tutti la Costituzione formale (con la riforma del Senato), ma anche, di soppiatto, quella materiale, costituita da prassi antiche che non si fondano, come nel caso, su di una antica consuetudine (che, come tutte le consetudini, può essere ex abrupto cambiata), ma su una retta interpretazione dei principi costituzionali e, nella specie, anche, sul principio fondamentale della separazione dei poteri al quale si attengono rigorosamente tutti gli ordinamenti moderni ed autenticamente democratici.

Per trovare un precedente di nomina di un Presidente del Consiglio di Stato “di gradimento” del Capo dell’Esecutivo occorre infatti risalire al periodo fascista, durante il quale – come noto – il Duce si riservava il diritto di nominare a proprio piacimento il Presidente del Consiglio di Stato, per una maggiore “fascistizzazione” di tale organo già allora bifronte – giurisdizionale e consultivo (v. le illuminanti pagine dell’articolo di Melis, Il Consiglio di Stato ai tempi di Santi Romano, pubblicato nel sito istituzionale; clicca qui per leggerlo). Onde l’innovazione di Renzi sembra un salto all’indietro ad un’epoca che ormai pensavamo esserci lasciati alle spalle.

La innovazione peraltro non sorprende e si inquadra nell’ambito di recenti discutibili decisioni dello stesso Renzi, quale quella di nominare arbitro per i rimborsi da accordare ai poveri anziani risparmiatori ai quali, col beneplacito di tutti, sono state “rifilate” le obbligazioni subordinate, l’ANAC, che ha funzioni diverse, piuttosto che la Banca d’Italia, che è l’Autorità istituzionalmente preposta alla tutela del risparmio. Vero è che i controlli di Banca d’Italia appaiono allo stato dei fatti (e salve ulteriori indagini) carenti, ma non può essere dimenticato il fatto che è stata la Banca d’Italia a disporre fin dal 2013 il commissariamento di una della banche interessate e che il Governo è intervenuto con grave ritardo, con il recente decreto “salva-banche”.

Rimane comunque al fondo un quesito fondamentale: il pur auspicabile rafforzamento dell’Esecutivo, in assenza di adeguate regole e di opportuni contrappesi, quale futuro riserva alla nostra ancor fragile democrazia?

Va peraltro considerato che nell’ambito del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa la rappresentanza politica è già assicurata dai quattro componenti c.d. “laici” nominati dal Parlamento; onde la passata designazione univoca proveniva da un Organo nel quale è già presente la componente politica (bilanciata, essendo i componenti laici designati dal Parlamento, tenendo conto anche delle opposizioni).

Pertanto il volere lasciare al Presidente del Consiglio la scelta del futuro Presidente del Consiglio di Stato, sia pure nell’abito dei cinque petali della margherita richiesta al CdP, costituisce un grave vulnus alla nostra democrazia, che tuttora è parlamentare e non “direttoriale”, per non dire altro.

Stupisce in tutto questo il silenzio del Presidente della Repubblica, il quale non è solo organo di rappresentanza, ma anche e soprattutto, organo supremo di garanzia dell’indipendenza della magistratura che, in ultima istanza, con proprio decreto deve effettuare la nomina anche del Presidente del CdS. Ma, se si continua di questo passo, per la nomina a Presidente del Consiglio di Stato sarà presto richiesto il requisito di avere frequentato, almeno una volta, la Leopolda. E così, nel breve volger di tempo, Renzi è passato dalla Margherita (intesa come partito politico, dal quale proviene) alla margherita a cinque petali del Consiglio di Stato; solo che quest’ultimo non è una formazione politica nell’ambito della quale egli può scegliere i suoi collaboratori.

All’inizio del mio libro sulla partecipazione al procedimento amministrativo ho riportato la frase, molto usata nelle democrazie liberali, secondo cui freedom grows in the interstices of procedure; ma è anche vero il contrario e cioè che la libertà può morire nelle pieghe della procedura.

 Giovanni Virga, 20 dicembre 2015.

Print Friendly, PDF & Email

Category: Giustizia amministrativa

Commenti (11)

Trackback URL | Comments RSS Feed

  1. Massimo Grisanti ha detto:

    Sono del parere che il nuovo metodo non sia più criticabile di quanto lo fosse stata la prassi dell’univocità.
    Si prospetta unicamente la trasposizione dell’accordo ad un livello superiore. Infatti, si vuol negare che nell’indicare un solo nominativo non vi sia, quale presupposto, un accordo tra i componenti della Presidenza del Consiglio di Stato?
    Come sempre, tutti i metodi sono criticabili (così come le forme di governo, compresa la democrazia e le sue varianti): sono gli Uomini a fare la differenza. Ed il compito di formare gli Uomini politici era dei partiti, i quali, invece, hanno progressivamente abbandonato la loro funzione costituzionale per mutare in bande di potere spesso criminale.
    Pertanto, ritengo che la critica del prof. Virga sia indirizzata a soggetti sbagliati, dovendo, più correttamente, essere rivolta al sistema dei partiti.
    Ed attenti, quelli ammantati di sinistra pur di stare a tavolino con Renzi e mangiar le briciole che cadono dal tavolo rinnegherebbero anche loro madre e la brucerebbero.

    • Enzo Di Sciascio ha detto:

      Credo che il sig. Grisanti non conosca bene la prassi, che si segue non solo per la nomina del Presidente del Consiglio di Stato, ma in ogni plesso della Giustizia amministrativa, fino all’ultimo TAR.

      Si vuole salvaguardare l’indipendenza di questa magistratura, nominando sempre il più anziano (di servizio, non di età) fra coloro che presentano domanda.

      Per quanto riguarda il Consiglio di Stato è il Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa che propone cinque nomi al Presidente della Repubblica, cui spetta la nomina, in rigoroso ordine di anzianità ed è stato sempre nominato dal Capo dello Stato il più anziano fra i designati (in questo caso il Presidente Baccarini).

      Non può quindi non stupire che un organo politico, qual è il Presidente del Consiglio dei Ministri, abbia lui avocato a sé il potere di proposta, indicando il Presidente Pajno, che certamente Mattarella nominerà.

  2. Benny ha detto:

    Invece la richiesta di 5 nominativi è un atto gravissimo, posto che ciò che viene meno è l’indipendenza della magistratura, dando il potere di scegliere il vertice della magistratura amministrativa si priva la stessa della autonomia e indipendenza nel proprio giudizio

    • Massimo Grisanti ha detto:

      Mi perdoni, Lei sta sostenendo che viene meno l’autonomia e l’indipendenza nel proprio giudizio se viene dato il potere (ndr: dalla Presidenza del Consiglio di Stato) di scegliere il vertice della Magistratura stessa.
      Allora significa che nel concreto, e diversamente da quanto dispone la Legge, il potere di nomina era del Consiglio di Presidenza stesso?
      Non Le pare che siamo all’ammissione dell’esistenza di pratiche illegali?
      E poi, come può la nomina del Presidente essere consì invasiva dell’autonomia e indipendenza dei Giudici? C’è un codice interno, contenente indicibili accordi, a cui i Magistrati sarebbero “costretti” a rispettare?
      Ritengo che le Sue affermazioni abbiano necessità di chiarimenti.

    • giuseppe ha detto:

      Credo che, al contrario, Renzi abbia agito nel rigoroso rispetto della legge, che, come noto, non subisce deroghe per effetto della “prassi”.

  3. Michele Casano ha detto:

    Sono d’accordo con il prof. Virga, sempre lucido e puntuale nell’analisi dell’evoluzione nel tempo del ns. diritto costituzionale-amministrativo.

    Ma chi poteva aspettarsi da Renzi un comportamento diverso, oltretutto per una nomina (quella del Pres del C.D.S) che, comunque, prevede ex lege una “proposta-deliberazione” governativa ? Che voglia giocarsi anche qui la carta Cantone ?

    Abbiamo forse già dimenticato le “modalità” con cui alla massima Magistratura Repubblicana è asceso Sergio Mattarella, degnissima persona, questo stesso anno?

    Concordo, per il resto, anche con chi scrive che da questa classe politica di governo e dintorni, senza vergogna, (trasversalmente monolitica nella difesa dei propri privilegi e della propria impunità, ormai dichiaratamente al soldo di comitati d’affari e finanziatori spesso oscuri e/o conosciuti solo ex post, all’esito di indagini giudiziarie, e non certo al servizio della Nazione e dei cittadini italiani) nulla di meglio e/o di diverso potevamo, possiamo e potremo attenderci, considerate innanzitutto le modalità di selezione dei candidati, ed i vigenti sistemi elettorali “porcello-italici”.

    Ho però ancora fiducia, nonostante tutto, nell’Istituzione Consiglio di Stato: una delle poche, in Italia, ad essere riuscita a “trapassare” Forme di Stato, Regimi e Epoche storiche, adeguandosi alle mutate esigenze politiche delle varie Italie succedutesi, ma mantenendo, almeno in gran parte, per intrinseco valore, la propria autorevolezza ed indipendenza, anche ai tempi (certo ben diversi, e più difficili…) di Santi Romano Presidente, “nominato” da Mussolini. Tempi in cui, nondimeno, “negli interstizi delle procedure” amministrative, riuscì ad essere salvato anche qualche ebreo, a dispetto di leggi infami, e folli circolari ministeriali applicative.

    Auguri a tutti.

    Michele Casano

  4. Pier Giorgio Lignani ha detto:

    A chi compete scegliere il nuovo Presidente del Consiglio di Stato?

    La questione è complessa, perché oltre al testo delle norme si debbono considerare anche le prassi interpretative e poi procedere anche ad una interpretazione “costituzionalmente orientata”.

    Da quando esiste la legge n. 186/1982, la prassi è stata nel senso che il Governo si è rimesso alla indicazione fatta dal Consiglio di Presidenza; ma si deve aggiungere che il Consiglio di Presidenza si è a sua volta attenuto alla prassi (o al criterio) di proporre il magistrato che in quel momento aveva la maggiore anzianità di servizio: un criterio certo discutibile, ma oggettivo, predeterminato e neutrale.

    L’iniziativa dell’attuale Governo di chiedere una “rosa” di ben cinque nomi rompe contemporaneamente entrambe le prassi: quella della designazione da parte dell’organo di autogoverno, e quella relativa al criterio oggettivo dell’anzianità.

    Quelle prassi, però, non erano nate per caso (il criterio della maggiore anzianità era stato seguito per diverso tempo anche in precedenza, quando cioè il Governo decideva effettivamente da solo, non esistendo organi di autogoverno) ma riflettevano una interpretazione “costituzionalmente orientata”. Nella versione di quello che è stato il “diritto vivente” sino a ieri, la disciplina della legge del 1982 era al di sopra di ogni sospetto d’incostituzionalità; il nuovo “diritto vivente” si pone su una linea molto più bassa, e quindi non siamo sicuri se sia ancora “al di sopra” piuttosto che “al di sotto” del sospetto d’incostituzionalità.

    POST SCRIPTUM: va precisato che chi scrive si ritiene al di sopra di ogni sospetto di interessamento personale, perché uscirà dal Consiglio di Stato con decorrenza dal 1° gennaio prossimo venturo.

  5. Giovanni Virga ha detto:

    Ringrazio tutti coloro che – sia pure con opinioni diverse – sono intervenuti con commenti.

    Confesso, tuttavia, che sono rimasto un poco deluso dal numero di interventi sul tema, tenuto conto anche del numero di persone che hanno letto il mio contributo (circa un migliaio finora, secondo le statistiche interne del sito); il che dimostra che il tema suscita un certo interesse e non è considerato affatto marginale.

    Ma neanche la scarsa partecipazione al dibattito mi sorprende: ho infatti constatato, sia pure in piccolo, tramite il weblog, che negli ultimi tempi il numero di coloro che leggono i miei modesti contributi è inversamente proporzionale a quello delle persone che poi partecipano alla discussione.

    Forse la disaffezione verso le nostre istituzioni non si manifesta solo – in modo molto più evidente e clamoroso – con una crescente astensione alle elezioni, ma anche con un minor numero di interventi nel web, specie da parte di coloro (e sono molti tra quelli che frequentano LexItalia.it) sono particolarmente qualificati ad intervenire ed il cui contributo sarebbe prezioso.

    Inoltre, sembra che ormai ciascuno degli italiani – come attesta anche una indagine recente del CENSIS – coltivi il proprio “orticello” e non abbia la voglia di esporsi, rimanendo a guardare dalla finestra. Solo che, in tal modo, la nostra fragile democrazia non fa progressi, ma anzi rischia di fare passi indietro e soprattutto si lasciano inutilizzati gli spazi di libertà che internet ormai consente. Il pubblico dibattito comporta sempre un progresso, per lo scambio di idee ed il confronto di opinioni diverse; per quanto mi riguarda, quando ricevo critiche, sono contento perchè esse mi inducono a riflettere meglio su quanto ho scritto. Come diceva Karl Popper, il miglioramento è sempre frutto della critica.

    Sotto questo profilo ringrazio in modo particolare il Pres. Lignani per il Suo intervento (ammetto molto più equilibrato e completo del mio, anche se è stato redatto con poche incisive battute), il quale – come apprendo con dispiacere – dal 1° gennaio p.v. lascerà il Consiglio di Stato. Si tratterà di una grave perdita per il CdS, per le doti di equilibrio e di acume giuridico che, sia pure in piccolo, anche il Suo commento dimostra. Come sanno molti lettori, il Pres. Lignani non è un Presidente che si limita ad esercitare le funzioni, ma è anche – come nelle migliori tradizioni – un Presidente che è spesso estensore delle sentenze che vengono decise in sede collegiale, con la stessa umiltà di un semplice componente.

    Per quanto riguarda il merito della questione, continuo a ritenere che la prassi finora seguita (anche sotto l’egida del tanto vituperato Berlusconi) della indicazione univoca del CdP sia la più rispettosa del nostro dettato costituzionale, che garantisce l’indipendenza della magistratura. Su ciò sembra concordare anche il Pres. Lignani (il che mi conforta non poco).

    D’altra parte la rappresentanza politica è garantita, nell’abito del suddetto Organo di autogoverno, dalla presenza di componenti laici. Sotto questo profilo l’interferenza dell’uomo solo al comando a capo dell’esecutivo mi sembra pericolosa, nello stesso modo in cui lo fu, a suo tempo, l’interferenza del Duce.

    La nuova prassi sembra ricalcare quella prevista per la dirigenza dalla c.d. riforma Madia (ma che andrebbe più propriamente chiamata con il nome di Mattarella – intendo Bernardo, capo dell’Ufficio legislativo del Ministro), con la previsione di una lista di “idonei” dalla quale il politico di turno “pesca” il nome a lui gradito. Un metodo questo già in passato sperimentato con i segretari comunali. Solo che nel caso in questione siamo al cospetto non già (con tutto il rispetto) di semplici dirigenti o segretari comunali, ma di magistrati ai quali va garantita l’indipendenza. Peraltro, proprio con riferimento ai dirigenti la Corte costituzionale, nel recente passato, ha duramente contestato forme di spoils system incompatibili col nostro assetto costituzionale.

    La migliore dimostrazione che la prassi finora seguita sia stata quella giusta è rappresentata, del resto, dallo spessore dei Presidenti che sono stati finora nominati. Un nome per tutti: il compianto Pres. de Roberto.

    Per quanto riguarda infine la prassi di nominare il più anziano nel ruolo, invece, essa può essere innovata senza problemi, purchè ciò avvenga collegialmente, all’interno del CdP, mediante una valutazione delle qualità personali dei possibili candidati e non rimessa arbitrariamente all’attuale Premier. La scelta collegiale e non affidata ad un singolo uomo è sempre garanzia di ponderazione e di equilibrio. Caratteristiche queste che sembrano latitare nei tempi attuali.

    Per le sentenze è ancora prevista, non a caso, la decisione collegiale. Paradossalmente, la delicatissima nomina del massimo vertice della magistratura amministrativa sarà invece affidata alla decisione di un organo monocratico, sia pure mascherata con la “foglia di fico” della delibera del Consiglio dei Ministri.

    Ed ho anche l’impressione, stando a quanto preannunciato dallo stesso Renzi a Cernobbio, che non sarà l’unica sorpresa sgradita che ci attende nel campo della giustizia amministrativa. Anzi, credo (spero tanto di non essere – per usare una terminologia cara a Renzi – un “gufo”) che siamo solo all’antipasto. Rettifico: al primo piatto; l’antipasto è stato il tentativo di abolizione della sedi staccate dei TT.AA.RR. Un tentativo fortunatamente abortito grazie anche alle proteste di molti lettori della presente rivista, che hanno aderito alla petizione acclusa ufficialmente a suo tempo agli atti del Parlamento. Il che dimostra che parlare e, in qualche caso, protestare serve. L’aula del Parlamento, parafrasando Mussolini, è forse grigia, ma talvolta non è sorda.

  6. Carneade ha detto:

    Brevissime riflessioni a margine della deliberazione adottata dal Consiglio dei Ministri in data 23/12/2015.

    Il metodo adottato dal Governo, in esecuzione dell’art. 22 della Legge 186/1982, può davvero considerarsi legittimo sotto il profilo della separazione dei poteri? In altri termini: la sostanziale designazione effettuata dal Governo può considerarsi rispettosa delle prerogative attribuite dalla Costituzione alla Autorità Giudiziaria Amministrativa?

    Come è noto, l’art. 22, comma 1, della Legge 186/1982 dispone espressamente che «il Presidente del Consiglio di Stato è nominato tra i magistrati che abbiano effettivamente esercitato per almeno cinque anni funzioni direttive, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentito il parere del Consiglio di Presidenza».

    Prima della data di entrata in vigore del nuovo Ordinamento della giurisdizione amministrativa, il Presidente del Consiglio di Stato era nominato con decreto presidenziale (ma comunque sempre) su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri (cfr. art. 1, comma 2, R.D. 26/06/1924, n. 1054 successivamente modificato dal R.D. 21 agosto 1931, n. 1030 e dal R.D.L. 16 maggio 1944, n. 136).

    Ciò posto, ai quesiti poc’anzi posti ha già dato risposta la Corte Costituzionale con sentenza (interpretativa di rigetto) n. 177 del 19 dicembre 1973 che respinse le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 (approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato e successive modificazioni), 4 dello stesso r.d. sostituito dall’art. 4 del r.d.l. 6 febbraio 1939, n. 478, e 50 e 12, lett. b, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (istituzione dei tribunali amministrativi regionali) sollevate, in riferimento agli artt. 3, 51, 97, 100, 101, 102, 103, 106, 108 e 135 della Costituzione, dal Consiglio di Stato.

    Conclusioni.
    Mi auguro che qualche Magistrato amministrativo (aspirante alla carica di Presidente del Consiglio di Stato) od una Associazione legittimata a ricorrere possa presentare impugnazione al TAR competente avverso il decreto presidenziale in uno agli atti propedeutici (parere del CPGA e deliberazione del Consiglio dei Ministri e proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri) affinché possa fare ribadire dal TAR Lazio (anziché nuovamente dalla Corte Costituzionale) un elementare principio: garantire la indipendenza del Consiglio di Stato e dei suoi componenti di fronte al Governo.

    Firmato.
    Carneade

    P.S. la sentenza della Corte n. 177 del 1973 è consultabile on line alla seguente pagina: http://www.giurcost.org/decisioni/1973/0177s-73.html (link a Consulta on line).

  7. Leo ha detto:

    Un primo segno di tale sopravvenuta non indipendenza la si è avuta con il caso dell’inserimento in GAE dei diplomati magistrale. Fu lo stesso CDS a sancire il diritto di costoro all’inserimento
    . ora subito dopo la nomina del nuovo presidente Pajno scelto da Renzi il CDS sembra cambiare orientamento, aderendo alle tesi di questo governo fallimentare. È davvero una cosa grave e assurda.

Inserisci un commento