I conti che non tornano

di | 14 Marzo 2020 | 1 commento Leggi

Si dice solitamente che i numeri non mentono; il che di regola è vero, a meno che i numeri stessi non siano stati manipolati ab origine. Tuttavia, in questo strano periodo che stiamo vivendo per via dell’epidemia (ormai anzi pandemia) del coronavirus, diversi conti non tornano.

Partiamo da quelli fondamentali, che ogni giorno con piglio quasi ragionieristico, ci vengono sciorinati alle 18,00 dal capo della protezione civile, Dott. Borrelli (il quale, non a caso, come si apprende da Wikipedia, è revisore dei conti e commercialista).

Impressionate è innanzitutto la progressione del contagio ed il numero dei decessi giornalieri, che si cerca in qualche modo di mitigare dando il numero dei guariti.

Nella sola giornata di ieri (13 marzo 2020) risultavano 250 deceduti ed oltre 2.547 contagiati in più rispetto al giorno precedente. Per un totale pari a 17.660 contagi ed a 1.266 morti. In atto, sia per numero di contagi giornalieri che per numero di decessi al giorno, battiamo qualsiasi altro paese al mondo, compresa la Cina da cui è partito tutto e la Corea del sud, che le è molto vicina. Non comprendo nella classifica l’Iran, dato che i numeri che fornisce sembrano non veritieri. E tutto ciò dopo che erano state introdotte da tre settimane delle zone rosse e gialle nelle regioni del nord più colpite.

Alla luce di questi numeri, non comprendo come possa dirsi che l’intero mondo stia guardando all’Italia come ad un modello o un giornalista di prima grandezza come Paolo Mieli possa pubblicare sul Corriere della Sera di oggi un articolo di fondo con il seguente titolo: “La buona prova dell’Italia (con qualche errore)”.

E’ evidente infatti a chiunque che, se la progressione è quella di cui si è appena detto, non solo ci si è accorti tardi della diffusione del virus nel nostro territorio nazionale, ma soprattutto le severe misure che erano state approntate tre settimane addietro nelle c.d. zone rosse non sono state sufficienti, atteso che le zone stesse sono state ridotte a poche porzioni di territorio e non hanno influito significativamente sull’andamento dell’epidemia. Quindi – eccezion fatta per l’abnegazione con la quale medici ed infermieri si sono dedicati e si stanno dedicando alla lotta contro il virus, a costo di mettere a repentaglio la loro stessa vita – l’Italia non è affatto un modello.

I buoni governanti non vivono alla giornata, facendo esperimenti e promettendo fiumi di denaro per mantenere improduttivo il paese, ma solitamente guardano ben al di là del breve periodo.

I nostri politici (compresi quelli dell’opposizione) si sono chiesti che cosa succederà all’economia italiana se saremo costretti a prorogare le attuali misure (chiusura dei negozi, che si sta estendendo purtroppo anche alle fabbriche) fino a maggio-giugno? Ho il timore che a lungo andare il Paese, come avvenuto per le carceri, esploderà.

Né le risorse che possiamo permetterci di mettere in campo (25 miliardi di euro, nulla in confronto ai 550 miliardi di euro messi a disposizione in Germania dalla Merkel) consentiranno molta autonomia. Insomma, l’azzardo di chiudere tutto il Paese, sembra davvero eccessivo, se si ripeterà il flop delle misure varate tre settimane addietro. L’azzardo è anche costituito dal fatto di spegnere un motore complesso come quello che alimenta un intero Paese senza sapere se, alla fine di un periodo non definito ma che potrebbe essere non breve, si riaccenderà nelle sue varie componenti. Tutto questo nonostante che l’intera Nazione fosse già in recessione prima dell’adozione delle misure. Roba da apprendisti stregoni.

Anche i numeri dei contagi e dei decessi, se comparati con quelli di altri Paesi, non sembrano affatto vincenti.

In particolare, se c’è un modello da seguire non è quello dell’Italia e neanche quello della Cina, che ha fermato solo una parte del Paese, preservando il motore produttivo, ma quello della Corea del sud, una democrazia che ha rallentato grandemente l’epidemia, pur occupando in un primo tempo il secondo posto in graduatoria, senza varare le misure eccezionali che stanno paralizzando la economia italiana. In particolare, le infezioni conosciute nella Corea del sud si stanno stabilizzando intorno agli 8.000 casi, mentre quelle dell’Italia stanno aumentando senza sosta, superando i 17.000 casi. Al 13 marzo la Corea del Sud dichiarava 67 morti, mentre l’Italia ben 1.266.

La differenza di approccio tra Italia e Corea del sud, molto diversa (come cerca di approfondire un interessante articolo pubblicato dal Wall Street Journal e ripubblicato in italiano su Milano Finanza), non è dovuta solo alla diversa educazione dei due popoli (uno confuciano e l’altro essenzialmente “furbastro”, come asserisce il richiamato articolo), ma anche alla diversa tecnica impiegata (nel caso della Corea accurate indagini per individuare tutte le fonti di contagio, senza attendere di fare il tampone ai malati con malattia ultraconclamata).

Ciò spiega il dato differenziale più evidente (quello dei decessi: in Italia arrivati ieri a 1266, mentre in Corea del sud sono stati pari a solo 67 morti) che non si spiega solo col fatto che la età media della popolazione italiana è più alta, ma soprattutto con il fatto che gli ospedali coreani intervengono nelle fasi iniziali della malattia e lo screening è stato esteso anche ai portatori sani, indagando su tutti coloro che hanno avuto contatti con soggetti risultati positivi al tampone.

Altro effetto nefasto, da non emulare, hanno avuto tutte le polemiche (anche ideologiche) che hanno accompagnato l’insorgere in Italia della malattia.

A cominciare dall’improvvisa misura della chiusura dello spazio aereo italiano ai voli con la Cina, disposta senza alcuna intesa con gli altri Paesi europei e soprattutto non accompagnata da un adeguato controllo (mediante imposizione di una quarantena per almeno 14 giorni) a tutti coloro (cinesi e non) che provenivano dalla Cina. L’Italia si è così confermata per essere il Paese delle misure a metà, dell’”un poco incinta”.

Si è invece imbastita una allucinante diatriba sulla presunta natura razzistica del proposto controllo di coloro che provenivano dalla Cina e ad una gara a chi andava a mangiare nei ristoranti cinesi (sia detto per inciso che non ho visto poi alcuno straniero che ha platealmente pubblicizzato una pizzeria italiana all’estero quando l’epidemia si è diffusa; anzi, com’è noto, in Francia hanno mandato in onda un filmato con una pizza condita con uno sputo al coronavirus e moltissimi paesi – compresi quelli più sperduti e lontani – hanno respinto senza preavviso le navi o gli aerei con italiani).

Neanche il Governo – che, in base ai sondaggi pubblicati oggi dal Corriere della Sera, è in grande spolvero –  in realtà ha fornito buona prova, in un primo tempo sottovalutando il fenomeno e in un secondo tempo puntando tutto – assieme all’opposizione – sul blocco quasi totale del Paese, sperando in qualche modo di fermare l’epidemia; anche i D.P.C.M. (strumento questo che, come messo in evidenza in un articolo di Ratto Trabucco pubblicato in questa rivista, seguito da un articolo apparso ieri sul Sole 24 di Marco Clementi, mal si presta alla limitazione di rilevantissimi diritti costituzionali, come ad es. quello alla locomozione), sono stati anticipati al pubblico con tecniche varie, creando casi di ulteriore diffusione del virus (v. il filmato alla stazione centrale di Milano). Senza considerare che, ieri, quando si attendeva ansiosamente il decreto fiscale e sul sostegno dell’economia (atteso che il termine per il versamento IVA verrà a scadere lunedì prossimo), è stato pubblicato invece un decreto-legge su Cortina 2026; evidentemente Sala, Malagò e tutti coloro che hanno voluto l’evento in questione non potevano attendere.

Insomma, tirando le somme, finora non sembra – contrariamente a quando pur autorevolmente affermato – che l’Italia sia da considerare un esempio per tutto il mondo.

Il troppo affrettato giudizio va comunque rinviato di qualche mese, quando si vedranno quali sono gli effetti delle misure varate sull’economia e soprattutto sulla diffusione del virus. Sperando più che sul governo, sul solito stellone italico e soprattutto sul sacrificio silente di tanti italiani che, nonostante tutto, continuano a lavorare.

Giovanni Virga

14 marzo 2020.

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Category: Società

Commenti (1)

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  1. Massimo Perin ha detto:

    Giuste le osservazioni del Prof. Virga. Quel che, invece, sta insegnando questa epidemia/pandemia che non c’è stata nessuna solidarietà da parte degli alleati europei quando il corona virus si è iniziato a diffondere nel Nord Italia. La vicenda delle mascherine è eclatante: possibile che una potenza industriale come l’Italia non aveva la possibilità di realizzare in tempi brevi il materiale sanitario necessario?

    Quando l’emergenza finirà (speriamo il più presto possibile) bisognerà pure capire come questo sia potuto accadere. Il Paese di fronte a un’emergenza di questa portata deve essere messo nelle condizioni di reagire immediatamente e con le proprie forze, tenuto conto che quelli che sarebbero i nostri alleati si sono, nemmeno elegantemente, girati dall’altra parte (vedi la Francia con la nota pizza ricordata dal Prof. Virga), pensando che il virus si sarebbe fermato alla frontiera. Purtroppo, per loro, il virus li sta raggiungendo, perché non conosce confini e status, e questo dimostra che se ci fosse stata un’azione congiunta da parte di tutti, probabilmente gli effetti negativi della pandemia potevano essere combattuti meglio.

    Concordo pienamente con Giovanni Virga sulla mancato impedimento del rientro delle persone dal Nord verso il Sud. Dovevano essere fermati i Treni e dovevano essere controllate sanitariamente le persone. Però si deve pure pensare che molte di quelle persone lasciavano il Nord perché non potevano più lavorare e, dunque, restavano senza reddito. Per questa semplice circostanza il Governo doveva immediatamente sostenere economicamente queste persone trattenendole sui territori e solo quando non fossero state più contagiose, consentire il loro rientro al Sud.

    Infine, non ci sarà da meravigliarsi se in futuro i cittadini non ameranno più questa Unione Europea, visto che proprio oggi Donald Trump ha dichiarato (http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2019/10/31/trumpitalia-starebbe-meglio-fuori-da-ue_33838f9e-dadb-4257-ab2a-8ccc27a9a0f8.html ) che “L’Italia starebbe molto meglio fuori dalla Ue”.
    Pertanto, l’U.E. – se ne sarà capace – dovrà fare molto per noi, scusandosi con l’Italia, se vorrà farsi ancora apprezzare.
    Staremo a vedere.

    L’Italia, in ogni caso, alla faccia dei suoi detrattori avrà la forza e la capacità di riprendersi, come dimostra l’alto livello di reazione, di professionalità, di attaccamento al dovere e di solidarietà del nostro personale medico e sanitario, che tutti noi dobbiamo applaudire e ringraziare.

    Nel contesto auguriamoci di tutto cuore che i nostri medici riescano anche a trovare le giuste terapie, così come ci fanno ben sperare le notizie che provengono dall’Ospedale Cotugno di Napoli (https://www.ilmessaggero.it/italia/coronavirus_farmaco_artrite_ultime_notizie_news_napoli-5109045.html)

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