I limiti del principio della strumentalità delle forme (con particolare riferimento alla presentazione delle liste elettorali)
Chi scrive è da tempo sostenitore del principio della strumentalità delle forme, nelle molteplici varianti in cui è stato declinato dalla giurisprudenza passata e presente.
Al principio – secondo cui non ad ogni irregolarità formale compiuta nel procedimento amministrativo può essere riconosciuta efficacia invalidante, occorrendo piuttosto verificare le ragioni per le quali determinati adempimenti sono previsti – va riconosciuto l’indubbio merito di avere contribuito a smentire la teoria, molto seguita in passato, secondo cui l’interesse legittimo è (solo) la pretesa alla legittimità formale del provvedimento amministrativo e che concepiva il giudizio amministrativo – secondo l’arguta osservazione di Guarino – come una sorta di “caccia all’errore” (o, meglio, come uno strumento che consente, mediante l’interesse legittimo, di “approfittare” degli errori dell’Amministrazione).
Non vi è dubbio che, in linea di principio, determinate forme sono previste per il raggiungimento di determinate finalità e che, quindi, quando tali finalità sono state “comunque” raggiunte, non vi è spazio per l’annullamento dell’atto amministrativo.
Com’è noto, il principio, affermato in giurisprudenza in un primo tempo, è stato poi recepito dal legislatore ed è stato tradotto in apposite norme positive contenute nella L. n. 15 del 2005, che ha modificato la legge n. 241 del 1990.
Tuttavia c’è da chiedersi quali siano i limiti di applicabilità del principio, anche al fine di evitare che da un eccessivo formalismo che si riscontrava talvolta in passato, si passi ad un eccesso di sostanzialismo che finirebbe inevitabilmente per travolgere una serie di garanzie formali che tuttora vanno assicurate agli amministrati e le certezze che sono alle stesse connesse.
L’occasione per affrontare il tema è offerta da una recente sentenza del Consiglio di Stato (Sez. V, 26 aprile 2011, in Lexitalia.it, con nota dell’Avv. L. Vuolo), che ha finito per applicare il principio in materia elettorale, nel quale, com’è noto, sono previsti una serie di adempimenti formali che tuttavia sottendono garanzie sostanziali. Si trattava, in particolare, nel caso affrontato dalla richiamata decisione, delle forme previste per la presentazione delle liste elettorali.
Con la sentenza in questione la Sez. V è partita da un premessa generale, che sembra (con le precisazioni che seguono) in parte condivisibile e cioè che “gli artt. 28, 32 e 33, del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, che disciplinano la raccolta delle firme per la presentazione delle liste elettorali, non contengono prescrizioni dettagliate quanto alle modalità da seguire e, soprattutto, alle conseguenze sul piano sanzionatorio di eventuali irregolarità; le relative operazioni, pertanto, non costituiscono adempimenti formali che rientrano nella categoria giuridica delle c.d. «forme sostanziali», dovendosi piuttosto fare applicazione in materia del principio di «strumentalità delle forme» nel procedimento elettorale”.
Il principio di «strumentalità delle forme», che spesso viene applicato in materia di gare di appalto, è dunque applicabile anche al procedimento elettorale e, segnatamente, alla presentazione delle liste elettorali. Sia consentito un compiacimento per l’utilizzo da parte della sentenza dell’ossimoro “forme sostanziali”, da chi scrive impiegato per la prima volta (per quanto è dato di sapere), nel lavoro intitolato “La partecipazione al procedimento amministrativo”, Milano 1998.
Per giustificare l’applicabilità nella specie del principio in discorso, nella citata sentenza, si è fatto riferimento a due circostanze e precisamente: a) alla circostanza che le norme sulla raccolta delle firme per la presentazione delle liste elettorali non contengono prescrizioni dettagliate; b) alla circostanza che le norme in materia non specificano le conseguenze, sul piano sanzionatorio, di eventuali irregolarità.
Mentre quest’ultima affermazione è pienamente condivisibile, la prima è discutibile.
Non vi è dubbio infatti che le norme sulla presentazione delle liste non si preoccupano – come spesso accade – delle conseguenze che derivano dalla loro inosservanza (questa osservazione sembra riecheggiare una nota e gustosa definizione dell’interesse legittimo, secondo cui quest’ultimo, tipicamente, viene riconosciuto e tutelato in relazione a norme che di regola non si preoccupano di esso e delle conseguenze che derivano dalla sua inosservanza); onde, sotto questo profilo, è indubbio che sussiste spazio per il ricordato principio della strumentalità delle forme.
Il primo presupposto per l’applicazione del principio è, infatti, quello che non sussistano norme che prevedano espressamente conseguenze nel caso di violazione di adempimenti procedurali. Del resto la giurisprudenza, con riferimento alla lex specialis di una gara di appalto, ha avuto modo più volte di rilevare che, nell’ipotesi in cui determinati adempimenti siano previsti espressamente a pena di esclusione, non vi è spazio per interpretazioni e la P.A. (ed eventualmente, in s.g., il giudice amministrativo) sono tenuti ad osservare tali adempimenti, disponendo l’esclusione nel caso di loro inosservanza (ove, ovviamente, essi siano chiari ed inequivoci).
Discutibile appare la seconda affermazione, specie con riferimento al caso affrontato dalla sentenza.
Nel caso di presentazione di liste elettorali, infatti, le prescrizioni dettagliate esistono, anche se talvolta non previste dalla legge ma da istruzioni operative e circolari che, pur avendo natura di fonti secondarie, non possono essere del tutto ignorate.
In alcuni casi le norme operative sono contenute nella disciplina generale codicistica (v. ad es. le norme in materia di autentica delle firme dei sottoscrittori, le quali non possono essere ignorate o disapplicate: v. al riguardo la sentenza depositata tre giorni addietro dalla stessa Sez. V del Consiglio di Stato, 29 aprile 2011, in LexItalia.it, secondo cui “in sede di presentazione delle liste elettorali, sono da ritenere invalide le autentiche delle firme di elettori, nel caso in cui non sia stata indicata la modalità di identificazione del sottoscrittore (art. 21 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445), che può essere pure la conoscenza diretta; parimenti inderogabile è da ritenersi l’indicazione del luogo e della data di autenticazione delle firme, essendo entrambi tali elementi espressamente prescritti dalla legge, in un quadro improntato ad un attento rigore formale, posto a tutela della delicata procedura elettorale”).
Se si esaminano anzi le due sentenze della Sez. V finora citate (quella cioè da ultimo menzionata, del 29 aprile scorso e quella del 26 aprile 2011, da cui ha preso le mosse il presente scritto) ci si accorge non già di un contrasto stridente, ma di due tipi di approcci opposti e, in un certo senso, collidenti.
La prima sentenza citata (26 aprile 2011) infatti ha un approccio sostanzialistico, affermando che: a) le disposizioni contenute negli articoli 28 e 32 del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, stabilendo fra l’altro che la firma dei sottoscrittori delle liste deve essere apposta su moduli recanti il contrassegno della lista, perseguono lo scopo di assicurare che i sottoscrittori abbiano piena consapevolezza della lista che si accingono a presentare e della sua effettiva composizione; b) che lo scopo perseguito, in particolare, dall’art. 28, comma 4, dalla citata normativa deve ritenersi raggiunto anche qualora, pur in assenza della materiale incorporazione del contrassegno, in modo stabile ed indissolubile, nel documento di presentazione, sia nondimeno acclarata la piena consapevolezza dei firmatari in merito alla riferibilità della sottoscrizione ad una determinata lista con una specifica composizione”.
La seconda sentenza citata (29 aprile 2011), invece, fa riferimento ad un “quadro improntato ad un attento rigore formale” in materia di presentazione delle liste elettorali, il quale comporta che: a) sono da ritenere invalide le autentiche delle firme di elettori, nel caso in cui non sia stata indicata la modalità di identificazione del sottoscrittore, che può essere pure la conoscenza diretta; b) parimenti inderogabile è da ritenersi l’indicazione del luogo e della data di autenticazione delle firme, essendo entrambi tali elementi espressamente prescritti dalla legge”.
Secondo la prima pronuncia, invece, può prescindersi dal dato formale che nella lista presentata manchi il contrassegno, “qualora, pur in assenza della materiale incorporazione del contrassegno, in modo stabile ed indissolubile, nel documento di presentazione, sia nondimeno acclarata la piena consapevolezza dei firmatari in merito alla riferibilità della sottoscrizione ad una determinata lista con una specifica composizione”.
Quali dei due approcci è da condividere?
La verità, come spesso avviene, sta probabilmente nel mezzo.
Non vi è dubbio che il principio della strumentalità delle forme può anche applicarsi al procedimento elettorale, e, segnatamente, in materia di presentazione delle liste, costituendo ormai un principio generale dell’ordinamento e non già perchè – come affermato dalla sentenza citata per prima – per gli adempimenti non sono previste prescrizioni dettagliate; come già detto le prescrizioni, in materia di presentazione delle liste, spesso esistono, anche se talvolta previste da fonti (per usare la classificazione di A.M. Sandulli) “secondarie”. In particolare è prevista la necessità di mettere il contrassegno della lista nell’apposito modulo, in modo tale anzi da non consentire la sua facile sostituzione, in modo che sia chiaro che il sottoscrittore abbia consapevolezza della lista per la quale appone la sua firma. Così come è prevista anche, dalle norme generali, che l’autentica delle firme deve avvenire in modo tale da individuare in maniera chiara e netta l’identità del sottoscrittore, nonchè il luogo e la data in cui la firma sia stata apposta.
Se quindi il principio della strumentalità delle forme è applicabile anche al procedimento elettorale in quanto principio generale ormai desumibile dalle norme introdotte dalla legge n. 15 del 2005, occorre invece chiedersi quali siano i limiti di applicabilità del principio, in modo che la discrezionalità del giudice non trasmodi in mero arbitrio.
Un primo limite è costituito, come già detto, dalla circostanza che l’adempimento sia comunque previsto (del resto, non si vede come si possa sanzionare la mancata osservanza di adempimenti non previsti), ma la norma che lo prevede non si preoccupi di precisare le conseguenze applicabili nel caso di sua inosservanza..
Un secondo limite deriva dal fatto che l’adempimento sia previsto in modo inequivoco dalla norma, in modo che non esistano dubbi sulla sua applicabilità. Solo ove l’adempimento sia equivoco, e cioè esistano dubbi sulla sua applicabilità e sulla sua portata, infatti, il principio di strumentalità delle fome può essere applicato.
Così come, fin dai tempi dei romani, nel campo penale, è applicabile il canone secondo cui “in dubbio pro reo”, così è predicabile nel campo amministrativo (absit iniura verbis) il principio – anche alla stregua del più generale canone dell’affidamento del privato – secondo cui, nel caso di dubbio, è preferibile una interpretazione “in bonam partem” che, tenendo conto anche dello scopo per il quale l’adempimento è stato previsto, finisca per non penalizzare troppo chi non lo abbia osservato, in considerazione proprio della situazione di incertezza generata dalla equivocità dell’adempimento.
Se tuttavia applichiamo tali limiti alla fattispecie affrontata dalla prima sentenza citata, ci accorgiamo che essa supera il primo limite, ma non il secondo.
La previsione di un contrassegno, addirittura “inamovibile”, al fine di evitare facili sostituzioni, pur non essendo sanzionata espressamente nel caso di inosservanza, non è affatto equivoca e quindi, a mio sommesso avviso, non consente l’applicabilità del principio di strumentalità delle forme.
Giovanni Virga, 1° maggio 2011.
P.S.: sia consentito in questo giorno particolare, in cui è diventato Beato, ricordare Papa Giovanni Paolo II. Una delle frasi che più mi ha colpito, durante il Suo pontificato, è quella che pronunciò all’inizio e che è stata più volte riproposta in questi giorni: “Se sbaglio, voi mi corrigerete”. La stessa esortazione che io, nel mio piccolo, da una cattedra che è ben lontana da quella del Papa (ma che, anzi, da oltre 13 anni, è singolarmente confinata a Trapani), intendo sempre rivolgere ai lettori.
Category: Diritto pubblico
Osservazioni senz’altro condivisibili ed equilibrate sul piano giuridico (e non solo) le Sue, egregio Professor Virga, a mio modestissimo avviso. Ed osservazioni quantomai attuali, per quanto concerne segnatamente la materia elettorale, visti i ben noti – e ben poco commendevoli – fatti legati alla presentazione nel 2010 della lista (e soprattutto, del famigerato “listino” … ) del Presidente della Regione Lombardia Roberto Firmigoni … fatti di cui si sta, finalmente, dopo un assordante silenzio, occupando anche la Magistratura inquirente, in quel di Milano, lasciando prefigurare esiti a dir poco dirompenti (ma non se ne deve parlare, guai !). No, in una materia come quella elettorale – mi passi la brutale semplificazione – la forma è sostanza, sempre, o quasi. E norme scritte cinquanta e più anni or sono rivelano ancora tutta la loro intrinseca sapienza giuridica e saggezza, assai più di tante norme “contemporanee”, frutto troppo spesso dell'”estro” volubile, ridente (poco, o troppo) e fuggitivo del c.d. “Legislatore”, e/o della sua profonda insipienza, destinate come tali, sempre più spesso, a vita breve e travagliata, se non a cadere presto o tardi sotto la scure della Consulta, o degli Organi di Giustizia della U.E. (vogliamo parlare del reato di “clandestinità”, ad es. ?). Ma il nostro Legislatore pensa ormai di poter agevolmente, senza ritegno, senza limiti, controlli e/o contrappesi, costituzionali, a proprio arbitrio ed a vantaggio personale e/o contingente di qualcuno (recte: dei soliti noti), non solo di varcare le “Colonne d’Ercole” della trasformazione del”l’uomo in donna” (usando la celeberrima espressione dei costituzionalisti britannici …), ma anche di “trasformare” – ad es. – procaci, disinibite (e giovanissime) donne dalla condotta perlomeno “disinvolta”, in illustri “nipoti” … e dire che persino un Papa (!), come Woityla (da Lei opportunamente ricordato), aveva ritenuto di accantonare – almeno per quanto riguardava il suo italiano stentato, in quel lontano 1978 … – il fondamentale dogma dell’infallibilità papale: proprio quel dogma si arroga e reclama per sè invece – e sempre più – il nostro Legislatore, come ci insegna da ultimo l’ineffabile on.le Ceroni, con le sue improbabili proposte di modifica costituzionale …
Cordialmente.
Michele Casano