Dopo 16 anni il quesito è sempre lo stesso: Silvio Spaventa, chi era costui?
Come tempestivamente segnalato dal Cons. Massimo Perin, sotto ferragosto (e precisamente con un articolo pubblicato da vari quotidiani in data 11 agosto 2013), mentre quasi tutti – tra i quali lo scrivente – erano in vacanza per un breve periodo di riposo, l’ex Presidente Romano Prodi ha lanciato una proposta che avrà fatto sobbalzare diversi lettori della presente rivista. Con tale articolo infatti (clicca qui per consultarlo), in estrema sintesi, Prodi ha affermato che, per rilanciare l’economia italiana, è necessario abolire i TT.AA.RR. ed il Consiglio di Stato i quali, a suo modo di vedere, “legano le gambe” all’Italia e chiede l’aiuto di qualche giurista per realizzare tale proposito.
La proposta di abolire i giudici amministrativi, in realtà, non è nuova, anzi direi che è ricorrente: oltre 16 anni addietro, il direttore emerito del quotidiano “La Repubblica” Eugenio Scalfari, con un articolo intitolato in modo eloquente: “Consiglio di Stato da buttare”, pubblicato ne “La Repubblica” del 9 febbraio 1997, aveva avanzato analoga proposta, alla quale rispose a suo tempo l’attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Cons. Filippo Patroni Griffi, che allora rivestiva la carica di segretario dell’Associazione magistrati del Consiglio di Stato; clicca qui per consultare la risposta.
Anche chi scrive cercò di rispondere alla proposta di Scalfari, molto più modestamente, ma in termini strettamente giuridici, con una nota di commento pubblicata nella rivista “Diritto processuale amministrativo” e riportata nella presente rivista, intitolata: “Interessi legittimi e diritti soggettivi: una distinzione ancora utile per conseguire una maggiore tutela”, sottolineando che, come affermato da una ordinanza della Corte costituzionale a torto trascurata dalla dottrina, il sistema di giurisdizione duplice adottato dalla nostra Carta costituzionale non costituisce affatto una causa di minore tutela o, peggio, di ritardi.
La proposta originaria di Scalfari fu reiterata qualche anno più tardi, sia pure in versione per così dire “minor”, dall’allora Ministro dei Lavori Pubblici Micheli, il quale, in sede di audizione presso la Commissione ambiente del Senato dell’11 febbraio 1999, propose di abolire il sistema di tutela cautelare in materia di lavori pubblici, a suo dire fonte di ritardi e di intralci.
Tale proposta “minor”, com’è noto, è stata successivamente in larga misura accolta, non già direttamente, ma ponendo vincoli sempre più stringenti al potere cautelare dei giudici amministrativi nonché scoraggiando fortemente (tramite il progressivo innalzamento del contributo unificato atti giudiziari) il contenzioso in materia di appalti pubblici.
Anche in quel caso mi permisi di intervenire con un articoletto pubblicato su Giust.it e riportato in questa rivista intitolato: “Silvio Spaventa, chi era costui? (a proposito della proposta di abolire “l’anomalo” potere cautelare dei T.A.R. in materia di appalti di opere pubbliche)”.
Lo stesso titolo che oggi ripropongo per questo intervento, dedicato alla proposta di abolizione integrale di Prodi, simile a quella avanzata 16 anni or sono da Scalfari (il quale, a onor del vero, sia pure in modo confuso, scambiando la sez. II con la sez. IV del Consiglio di Stato, citò almeno Silvio Spaventa).
La riproposizione del tema non meriterebbe alcun ulteriore commento, se non fosse per il fatto che la questione è stata riproposta da un personaggio autorevole, che ha avuto varie esperienze di governo (perfino in sede comunitaria), qual è Romano Prodi (il quale, non è superfluo ricordare, se non fosse stato per la defezione di circa 100 parlamentari di area PD, sarebbe oggi Presidente della Repubblica).
E’ bene dire subito che l’articolo del Pres. Prodi si basa su dati di fatto destituiti di fondamento.
L’articolo, ad esempio, si apre con l’affermazione secondo cui in Italia il costo del lavoro, “oneri sociali compresi, è in genere inferiore a quello della Germania e degli altri competitori dell’Europa occidentale (Spagna esclusa)”.
Per smentire l’assunto – contrastante con quanto recentemente affermato dal Pres. del Consiglio Letta – faccio un riferimento, per così dire, “terra terra”, ma diretto: ogni mese, tramite il modello F24, pago all’INPS ed all’erario, per la mia segretaria (che lavora 8 ore al giorno dal lunedì al venerdì), un importo non inferiore a 1.100 euro, che è quasi pari alla retribuzione alla stessa corrisposta mensilmente. Insomma, pago due stipendi, per avere un solo dipendente. Mi dichiaro pubblicamente disponibile ad inviare, ove richiesto, al Prof. Prodi le buste paga ed i modelli F24 relativi alle stesse. Il che dimostra che molti dei nostri politici ed eminenti economisti vivono in una dimensione diversa dalla realtà quotidiana.
I costi del lavoro in Italia, grazie agli oneri sociali (che servono a malapena a pagare le pensioni attuali, anche quelle d’oro, come quelle percepite dal Pres. Prodi: ribadisco sempre alla mia segretaria che non c’è certezza che, quando lei arriverà alla pensione, avrà la possibilità di percepire un proporzionale trattamento pensionistico), sono esorbitanti e frenano le nuove assunzioni, specie a tempo indeterminato.
Facilmente contestabile è anche l’altra affermazione secondo cui “specie per i giovani, la mobilità è sostanzialmente totale perché il posto fisso non arriva mai. Il problema deriva piuttosto dall’inammissibile lentezza dei regolamenti di attuazione in materia”. In realtà, anche grazie al già richiamato alto costo degli oneri sociali ed a meccanismi sorpassati (come la cassa integrazione, che brucia spesso inutilmente preziose risorse, alimenta il lavoro nero e finisce per “ingessare” l’economia, mantenendo attività che molto spesso sono ormai fuori mercato) e che andrebbero sostituiti (con la previsione di una indennità di disoccupazione, legata alla riqualificazione del personale ed alla ricerca di nuovi posti di lavoro, da documentare in modo certo tramite una completa revisione degli attuali uffici di collocamento), soprattutto i giovani non hanno molte possibilità di trovare nuovi lavori, specie a tempo indeterminato. Non si tratta quindi solo di “lentezza dei regolamenti di attuazione in materia”, ma di un sistema che “ingessa” l’economia, tutelando solo chi ha già un lavoro.
Rimane a questo punto da contestare l’affermazione secondo cui “il ricorso al Tar è diventato un comodo e poco costoso strumento di blocco contro ogni decisione che non fa comodo, penetrando ormai in ogni aspetto della vita del paese” e che “se si abolissero i Tar e il Consiglio di Stato, il nostro Pil assumerebbe subito un cospicuo segno positivo”. A tal fine il Pres. Prodi fa rinvio a due esempi (il presunto “blocco”, con ordinanze cautelari, dell’insegnamento in lingua inglese al politecnico di Milano e dell’assegnazione degli acquisti pubblici decisi da un organo dello Stato come la Consip) sulla cui infondatezza mi permetto di far rinvio all’articolo di Massimo Perin, pubblicato oggi in questa rivista.
Per dimostrare l’infondatezza dell’affermazione secondo cui il ricorso al T.A.R. sarebbe un rimedio “poco costoso”, in particolare, faccio rinvio ai molteplici articoli dedicati al progressivo innanzamento del contributo unificato atti giudiziari. Aggiungo solo un quesito: è proprio certo il Pres. Prodi che la Consip, sol perchè è stata “creata proprio per fornire una sicura garanzia nel delicato campo degli acquisti della Pubblica amministrazione”, sia infallibile e, come tale, da sottrarre al controllo dei giudici amministrativi?
L’articolo del Pres. Prodi offre comunque l’occasione per ritornare al tema trattato in precedenza in questo weblog (quello della riforma della giustizia) e per precisare che la giustizia in Italia non si riforma demolendo, ma semmai raddrizzando le storture che in atto esistono e che provocano la lentezza del nostro sistema giudiziario. In Italia, in definitiva, non occorre meno giustizia, ma più giustizia e, soprattutto, una migliore (più celere) giustizia.
A tal fine è necessaria anche – come giustamente sottolineato dal Prof. Volpe in due commenti al precedente intervento nel weblog, nonché dal Cons. Perin nel già menzionato articolo – una legislazione più snella e meno ambigua. Ma, aggiungo io (confermandomi nel ruolo di cattivone, pronto a fare da parafulmine e ad attirare tutti gli strali delle associazioni sindacali di categoria), occorre anche lavorare di più. La produttività, infatti, non deve essere percepita come una parolaccia.
Molti giudici amministrativi sono contenti del fatto che, tramite i continui ostacoli che si frappongono all’accesso alla giustizia, il lavoro per loro diminuisce. Tuttavia non si rendono conto che, in tal modo, si apre la strada per la loro definitiva abolizione; così come si propone di fare il Pres. Prodi.
Tale rinnovata proposta fa pensare che ancora oggi, così come si domandava Don Abbondio nel romanzo “I promessi sposi” a proposito di Carneade, qualcuno continua a chiedersi: Silvio Spaventa, chi era costui? E’ a questo novello Don Abbondio che consiglio al Pres. Prodi di rivolgersi per attuare i suoi propositi, a meno che la sua proposta non sia, come può sembrare, tenuto conto della pochezza degli argomenti portati a sostegno, un semplice “ballon d’essai” ferragostano, lanciato in aria per attirare le luci, ormai fievoli, della ribalta.
È certo comunque che gli oltre 120 anni di storia che stanno alle spalle del Consiglio di Stato in s.g. e gli oltre 40 dei TT.AA.RR. imponevano argomentazioni diverse da quelle addotte.
Giovanni Virga, 18-19 agosto 2013.
Category: Giustizia amministrativa
Complimenti per la puntuale e precisa analisi al cattedratico prof. Prodi
Sui quotidiani Italia Oggi (13 agosto), Il Messaggero, Il Mattino e il Gazzettino (11 agosto), l’ex Presidente del Consiglio ed ex Presidente della Commissione Europea – Romano Prodi – ha formulato la proposta choc di abolire gli Organi di Giustizia Amministrativa, che non può non lasciare sbalorditi i lettori.
A fondamento della sua delirante proposta Prodi ha addotto i “rallentamenti” che il sistema economico italiano subirebbe per effetto dei ricorsi ai Giudici Amministrativi, il cui potere – a suo dire – avrebbe assunto dimensioni macroscopiche, tali da far fuggire potenziali investitori dall’Italia.
E’ molto probabile che Prodi abbia scritto l’articolo sotto l’ombrellone (anzi, non proprio all’ombra!!) e soprattutto senza essersi documentato sugli aspetti della giustizia amministrativa che ha inteso “demonizzare”.
Appare anzitutto anacronistico che il Professore definisca i ricorsi alla giustizia amministrativa “un comodo e poco costoso strumento di blocco contro ogni decisione che non fa comodo, penetrando in ogni aspetto della vita del paese”, diventando un fatto normale ogni volta che, per esempio, si procede ad un appalto.
Egregio Professor Prodi, è allora chiaro che Lei ignora che il costo del solo contributo per atti giudiziari, che il cliente deve pagare allo Stato prima di incardinare un ricorso dinanzi alla Giustizia Amministrativa in materia di appalti, varia da duemila a seimila Euro per il solo primo grado: definire il ricorso giurisdizionale un “poco costoso strumento di blocco di ogni decisione” è, quindi, considerazione errata.
E la Sua considerazione è anche gratuita, dal momento che il solo fatto di proporre un ricorso al TAR avverso qualsiasi provvedimento amministrativo non sortisce l’effetto automatico del “blocco” dello stesso (giusto per utilizzare la terminologia cara all’incauto articolista).
Quello cui forse si voleva riferire Prodi, allorquando parlava di blocco, è la sospensione cautelare del provvedimento, che il Giudice può disporre dopo aver riscontrato la presenza di presupposti rigidamente fissati dalla Legge dello Stato (tra i quali, il primo, la verisimile fondatezza del ricorso).
Va piuttosto fatta una riflessione, forse banale, ma che è evidentemente sfuggita a chi, come Prodi, si è cimentato in un terreno a lui sconosciuto (ahimè!).
Negli ultimi anni, vivaddio, la Magistratura Amministrativa ha effettivamente inciso su provvedimenti amministrativi anche rilevanti, annullando o sospendendo, per esempio, interi concorsi, soprattutto in materia di pubblica istruzione: ebbene se lo ha fatto è perché ha applicato le leggi dello Stato italiano che, in moltissimi casi, sono scritte in modo ambiguo e contorto, guardacaso, dal Legislatore (e non certo dai Tribunali Amministrativi).
Invece, allora, di utilizzare lo sgradevole dispregiativo di “azzeccagarbugli” (almeno possedesse il genio del grande Manzoni!) rifletta a quanto sarebbe utile l’apporto degli avvocati nel concepire i testi di legge che, evidentemente, la classe politica cui Lei appartiene è incapace di scrivere, come visto sopra.
E pur non volendo cadere nel qualunquismo, di cui è permeato il Suo articolo, non potrà essere sottaciuta una sia pur banale considerazione.
Se davvero si volesse ottenere quella spending rewiew che Lei auspica attraverso l’eliminazione del Giudice Amministrativo, Egregio Prof. Prodi, sarebbe serio pensare a reali tagli delle spese inutili, come inutile, per esempio, è sicuramente una pensione “d’oro” (magari il concetto non Le risulterà estraneo!).
Paolo Centore, Avvocato amministrativista
1) Abolire il giudice amministrativo. Si può?
Non a Costituzione invariata, ovviamente, ma in astratto il tema non è peregrino.
Il punto, a mio modo di vedere, è capire che cosa si voglia fare, una volta che il giudice amministrativo sia fatto cessare.
La tesi propugnata nell’editoriale dell’on. Prodi mira, se ho ben capito, a abolire, insieme al giudice amministrativo, anche la giustizia amministrativa. Il che, evidentemente, non è possibile. Non solo perché la Costituzione lo impedisce (abbiamo assunto l’ipotesi, infatti, che anche la Costituzione possa essere conformemente mutata), ma soprattutto perché la nostra forma di Stato non potrebbe più dirsi moderno né gli attuali cittadini potrebbero ancora continuare a chiamarsi tali.
A tacer del fatto, poi, che se fosse esclusa ogni forma di tutela contro l’attività contra legem dell’Amministrazione, dubito pure che il P.I.L. se ne gioverebbe. Già oggi gli investitori stranieri latitano e ciò proprio a causa delle difficoltà che l’apparato burocratico suscita. Se poi su tale apparato non fosse svolto alcun tipo di controllo giurisdizionale, anche quei pochi e avventurosi investitori che sono rimasti lascerebbero ben presto le nostre amate sponde.
Diverso è ipotizzare che le funzioni attualmente svolte dal giudice amministrativo possano essere affidate, invece, ad altro giudice e al giudice ordinario in particolar modo.
Mi rendo conto che un siffatto modo di ragionare può essere viziato dall’opinare che “l’erba del vicino è sempre più verde”.
E, tuttavia, che le aiuole di piazza Cavour siano un po’ più rigogliose dell’orto di limoni di Palazzo Spada è impressione che non pare priva di verosimiglianza.
A me pare, per il vero, che il Consiglio di Stato non si sia ancora emancipato dalla sua particolare genesi: di organo amministrativo che opera come un giudice, ma che pur sempre amministrativo resta.
Nella mentalità, prima ancora che nelle norme (le quali, non di meno, come osservò Orsi Battaglini nel suo ultimo lavoro non sono poi così cristalline nel dirimere la controversia sulla natura del giudice amministrativo). Sembra, anzi, che vi sia una sorta di recrudescenza, in tale atteggiamento mentale, e che il giudice amministrativo si senta oggi assai più amministrazione di quanto non si sentisse sino a qualche tempo fa.
L’osmosi tra coloro che, concretamente, impersonano le funzioni giurisdizionali, i quali sono ora prestati anche all’attività di Governo se non a quella addirittura legislativa (mi riferisco ad una attività svolta in tal veste secondo attitudini sostanziali, prima ancora che formali), ha raggiunto un grado di permeabilità tra i distinti poteri dello Stato che, qualche volta, si ha l’impressione che il giudice amministrativo non ragioni solo come un giudice, ma ragioni anche tenendo conto delle conseguenze che le sue pronunce produrrebbero sull’apparato amministrativo.
Forse il giudice ordinario è esente da questa mentalità o ne è meno intriso. In tal senso, la creazione di sezioni specializzate davanti a quest’ultimo, chiamate a svolgere esattamente le stesse cose che attualmente opera il giudice amministrativo, potrebbe essere una riforma da valutare non con pregiudiziale disfavore.
Senza tenere conto delle, pur minute, conseguenze utili che se ne caverebbero. Mai più si parlerebbe di problemi di giurisdizione. Soprattutto, mai più, con buona pace di Spaventa, si parlerebbe dell’interesse legittimo e delle confusioni sistematiche e concettuali che detta figura ha creato e che sono a tutti note.
2) Per il resto, giudice ordinario o amministrativo che esso sia, siamo davvero certi che il contenzioso amministrativo italiano sia così imponente?
Avevo rilevato il dato qualche anno fa, ma ho voluto verificarlo alla luce degli ultimi dati. Ebbene il Ministero della Giustizia francese pubblica, nel proprio sito ufficiale, pubblica alcune statistiche, relative all’andamento del locale apparato giurisdizionale. Le ultime pubblicate sono riferite all’anno 2009. Ecco i dati, ivi consultabili: http://www.justice.gouv.fr/budget-et-statistiques-10054
Ebbene, nel 2009, i Tribunali amministrativi francesi sono stati aditi da 180.246 nuove requêtes; ne sono state decise 187.236. Davanti alle Corti amministrative d’appello ne sono state presentate 29.268 e decise 28.202. Il Consiglio di Stato ha ricevuto 11361 requêtes e ne ha decise 9.986.
Lo stesso Consiglio di Stato, nel proprio sito istituzionale, offre alcuni dati più recenti. In tal senso, sinteticamente, ci viene indicato ( http://www.conseil-etat.fr/fr/rapports-et-etudes/rapport-public-2013.html ), quanto al 2012: “En 2012, la juridiction administrative dans son ensemble – Conseil d’État, cours administratives d’appel et tribunaux administratifs – a rendu 228.680 décisions contentieuses. Les principaux indicateurs d’activité – délais de jugement et affaires en stock – continuent de s’améliorer. L’exigence d’une justice de qualité reste la priorité. Le délai prévisible moyen de jugement, passé pour la première fois sous la barre d’un an en 2011, a encore diminué en 2012 dans les tribunaux administratifs (- 29 jours, pour s’établir à 9 mois et 28 jours) et dans les cours administratives d’appel (- 7 jours, à 11 mois et 11 jours). Au Conseil d’État, il reste quasiment stable, à 8 mois et 26 jours”.
Ora, anche senza svolgere un’indagine puntuale, non mi sembra affatto che il complesso di giustizia amministrativa italiano – che pure si rivolge ad una popolazione nazionale sostanzialmente equivalente a quella francese – abbia visto esperire una tal mole di ricorsi, negli anni di riferimento.
È vero che il sistema di giustizia amministrativa francese giudica anche su questioni tributarie. Esse, però, incidono solo per la percentuale dell’11,35% in primo grado (il dato è tratto dal rapporto “Le Conseil d’Etat et la justice administrative en 2012”, pag. 7, reperibile qui: http://www.conseil-etat.fr/fr/le-conseil-d-etat-et-la-justice-administrative-en/2012.html ). Anche sottraendo quella percentuale, il numero di questioni portate davanti al giudice amministrativo francese comunque supera abbondantemente quello delle questioni conosciute dal giudice italiano.
Soprattutto, sulla base di quanto già citato, impressionano i tempi del giudizio: dieci mesi massimi per il primo grado, un anno per l’appello e nove mesi per il terzo grado. Che è come dire che in meno di tre anni la questione è definitivamente risolta.
Si dirà che i mezzi stanziati sono superiori. E questo, in parte, è vero. Sempre il rapporto su “Le Conseil d’Etat et la justice administrative en 2012”, pag. 26, indica che il sistema francese può contare su 130 Consiglieri di Stato effettivamente adibiti a funzioni giurisdizionali (molti dei quali, però, sono magistrati “straordinari”, a dimostrazione che le “sezioni stralcio”, costì, non sono un tabù) su 288 magistrati di secondo grado e 843 magistrati di primo grado. Complessivamente sono circa il doppio dei magistrati italiani.
Eppure forse anche il cittadino italiano potrebbe auspicare un infoltimento dei ruoli della magistratura amministrativa, visto che, a dispetto di quanto si afferma, l’accesso alla giustizia amministrativa non è affatto economico.
Ignoro, in ogni caso, quale sia il conto consuntivo delle spese che l’Italia sostiene per mantenere l’apparato giurisdizionale amministrativo. I francesi, tuttavia, lo dicono senza troppe remore: nel 2010 l’apparato è costato 303 milioni di euro, 248 dei quali destinati a coprire le spese di personale.
Infine, è corretto sostenere che l’accesso al nostro sistema di giustizia amministrativa è comodo? Ancora una volta, il paragone con l’Oltralpe ci smentisce, perché in Francia hanno davvero attuato il processo informatico: il ricorso e le memorie vengono depositati e ricevuti dalle parti in via informatica. Il tutto senza scomodi accessi alle segreterie, senza bizantini bolli per il diritto di copia (ché tanto, poi, le fotocopie le fanno gli avvocati e non si comprende perché mai si debba pagare pedaggio), senza la necessità di sostenere spese di domiciliazione.
I dati che sopra ho riportato sono tutti facilmente reperibili in rete. È sufficiente applicarsi un paio di orette per conoscerli. Forse non è dunque necessario che qualche buon giurista suggerisca a chi intende abolire il giudice amministrativo le soluzioni da seguire. Forse è sufficiente un po’ di più modesta navigazione.
Evidentemente l’ex Presidente Prodi non conosce ciò di cui parla. Il sistema “Giustizia amministrativa” funziona, molto meglio degli altri sistemi italiani di giustizia e certamente potrebbe funzionare ancora meglio. E’ più celere, specialistico e non affatto “poco costoso”.
I contributi unificati sono più cari rispetto a quelli del civile ed in certe materie, vedi appalti, sono addirittura proibitivi. Per non creare ostacoli all’economia si potrebbero abolire le leggi, così nella giungla dell’anatchia vincerebbe solo il più forte o il più “scaltro”.
Il sistema va invece rafforzato e reso più accessibile.
Potremmo spingerci molto più in là: perché non abolire la Costituzione? Ma ci pensate a quanto il PIL si alzerebbe se venissero eliminati tutti quegli inutili orpelli costituzionali che ancora ci trasciniamo appresso?
Penso, ad esempio, ai principi di eguaglianza e dignità delle persone, alla partecipazione dell’Italia all’UE, alle libertà costituzionali, al Parlamento, alla Corte costituzionale, al Presidente della Repubblica…..
Stimavo molto il prof. Prodi; ma stento a credere che possa essere stato lui a scrivere simili baggianate.