Il principio di imparzialità ex art. 97 Cost. ed il metodo elettivo previsto per la formazione dei collegi amministrativi

di | 17 Marzo 2008 | 1 commento Leggi

Nell’attuale momento di vigilia elettorale, nel quale cioè si approssima il momento in cui – come enfaticamente si suol dire – la parola passa agli elettori (in realtà, tuttavia, come già notato in un precedente intervento, con l’attuale sistema delle liste “bloccate”, la parola passa ai partiti che decidono chi inserire in lista), dovremmo chiederci se siano conformi all’art. 97 Cost. le numerose norme che prevedono il metodo elettivo per la nomina dei componenti dei collegi amministrativi, anche se questi non siano (o comunque non debbano essere necessariamente) rappresentativi.

Il canone dell’imparzialità della P.A. presupporrebbe infatti – come scriveva tempo addietro il Prof. Allegretti nella sua fondamentale monografia sull’argomento – che gli organi amministrativi (siano essi monocratici o collegiali) siano posti in condizione di esprimere la loro volontà in una situazione di distacco e di indipendenza. Anzi, l’aver previsto che per taluni organi è necessaria la composizione collegiale (la quale consente di ponderare meglio i vari interessi in gioco e che comunque dovrebbe in teoria porre maggiormente al riparo i componenti dell’organo da possibili influenze esterne, dato che il processo decisionale è rimesso ad una volontà collettiva) esprime l’esigenza che gli organi stessi siano quanto più indipendenti dai soggetti che sono spesso chiamati a giudicare; onde sembra davvero incongruo ed in contrasto con il principio di imparzialità ex art. 97 Cost. il fatto che per molti organi collegiali sia previsto un metodo elettivo per la nomina dei componenti.

Il problema è stato già affrontato in passato (quando tutti tacevano) in un articolo dedicato al sistema dei concorsi universitari.

In tale articolo, pubblicato originariamente nella rivista Giust.it, ma riprodotto nella presente rivista nonchè (senza alcuna autorizzazione, ovviamente) nella rivista Giustamm.it, si evidenziava il fatto che una delle più evidenti storture del nuovo sistema di reclutamento dei professori universitari è costituita dal fatto che si è sostituito il precedente metodo per così dire misto (che prevedeva anche il sorteggio) con l’attuale metodo elettivo, in base al quale i componenti delle commissioni giudicatrici vengono nominati esclusivamente a seguito di elezioni tra i professori universitari; di guisa che, per ottenere una cattedra universitaria è spesso sufficiente fare eleggere uno o più “padrini” che saranno i garanti del candidato interessato (se questo poi è anche il candidato locale, potrà contare pure sull’appoggio del c.d. “membro interno”, nominato dalla Facoltà alla quale afferisce il posto da ricoprire).

Non è quindi il caso che molto spesso i vincitori di concorsi a posti di professore universitario siano noti già subito dopo l’elezione della commissione giudicatrice e che siano fiorite subito dopo la riforma una serie di associazioni di professori le quali stabiliscono chi deve essere eletto e chi no e (conseguentemente) chi deve andare in cattedra e chi no.

Il problema della compatibilità del metodo elettivo previsto per la nomina dei collegi amministrativi con l’art. 97 Cost. non si pone solamente con riferimento alle commissioni dei concorsi universitari, ma anche con riguardo ad altri organi amministrativi.

Molte delle storture lamentate a proposito del funzionamento degli ordini professionali (come ad es. l’Ordine degli Avvocati, degli Ingegneri, degli Architetti), i quali ben raramente applicano adeguate sanzioni disciplinari nei confronti dei loro iscritti e sono particolarmente di manica larga quando si tratta di apporre il “visto di congruità” a parcelle che dovranno essere pagate spesso con i soldi dei contribuenti, deriva dal fatto che i componenti dei relativi organi di “autogoverno” sono scelti non già per sorteggio tra tutti gli iscritti, ma con metodo elettivo; un metodo questo che finisce condizionare fortemente l’operato dei vari componenti del Consiglio dell’ordine ai voti che ciascun iscritto è in grado di assicurare alle varie “liste” presentate.

Altrettanto è da dire con riferimento all’Organo di autogoverno della magistratura (il Consiglio Superiore della magistratura), le cui sanzioni particolarmente blande (in un precedente intervento in questo weblog si sono fatti due esempi riguardanti rispettivamente un magistrato che aveva depositato le sentenze con grandissimo ritardo e di uno che aveva “spalmato” Nutella nel bagno dei colleghi) ed i cui provvedimenti in materia di assegnazione di incarichi direttivi e di trasferimenti risentono del peso delle correnti della magistratura

L’avere previsto anche per questi collegi il metodo elettivo quale criterio per la formazione degli organi stessi, ha infatti finito per creare il noto fenomeno delle correnti (più o meno politicizzate e più o meno corporative), con tutte le storture che ne sono conseguite.

Si parla tanto di separare la politica dall’amministrazione. Un serio passo in questa direzione sarebbe quello di prevedere dei meccanismi diversi dalla elezione per la formazione degli organi amministrativi collegiali, in modo tale da assicurare in concreto l’imparzialità della P.A.

Giovanni Virga, 16 marzo 2008.

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Category: Società

Commenti (1)

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  1. Avv. Giovanni Corporente ha detto:

    Il prof. Virga giustamente pone in risalto, tra le tante patologie del sistema italiano, quella delle procedure concorsuali per la copertura di posti di ricercatore, professore associato ed ordinario.

    Non è da porre in dubbio che la singolarità delle norme di legge che disciplinano tali concorsi estromette di fatto dalle procedure concorsuali il canone di buona amministrazione. Ciò che ritengo sia utile porre in risalto è che in una epoca storica qual è quella che oggi viviamo, che vede sul banco degli inquisiti anche gli esponenti del potere giudiziario, non si sottrae nemmeno la Consulta a dubbi di connivenza con il deprecato sistema “italiano” che prevede la elezione dei componenti delle commissioni esaminatrici nelle procedure a posti di docente universitario.

    Basta pensare alle storture che tale sistema comporterebbe se fosse trasposto in tutte le procedure concorsuali, ad esempio, per la copertura di posti di uditore giudiziario.

    Ma perché cito la Consulta e le sue responsabilità? Ricordo, ad esempio, la sua sentenza n. 143 del 1972 (Presidente prof. Giuseppe Chiarelli), su ricorso attivato dal prof. Enrico Cheli, in ordine alla legittimità costituzionale degli artt. 68, 70 e 73 del r.d. 31 agosto 1933, n. 1592 (testo unico delle leggi sull’istruzione superiore), e dell’art. 4 del d.l.1gt. 5 aprile 1945, n. 238 (provvedimenti sull’istruzione superiore), promosso con ordinanza emessa il 6 dicembre 1971 dal Consiglio di Stato – adunanza plenaria delle sezioni giurisdizionali.

    Ebbene, la Consulta, con la sentenza n. 143 del 1972, dichiarò non fondata la questione incidentale di legittimità costituzionale, con una motivazione da cui ho tratto questa significativa affermazione: “Non é la categoria dei docenti che, attraverso i commissari, giudica i titoli dei candidati, ma é un organo dello Stato che esprime un giudizio in piena imparzialità e nella considerazione di quegli elementi che siano idonei a formare un giudizio sulle attitudini scientifiche e didattiche di colui che aspira ad insegnare nelle università; ed inoltre, nell’osservanza del principio di uguaglianza, che non risulta leso se il giudizio differenziato sui concorrenti viene espresso con riguardo a dati di diversità fra le qualità di ciascuno, congruamente e razionalmente individuate con motivazione che non riveli eccessi di potere”.

    Ergo: i giudici costituzionali non ritennero per nulla di affrontare il delicato profilo del sistema “italiano” di sorteggio prima e di elezione dopo dei componenti delle commissioni esaminatrici. Il resto è storia italiana.

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